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Gli immigrati non si possono respingere così

Il Cpt del Consiglio d'Europa contro la politica italiana dei repingimenti

29 aprile 2010

"Nella sua forma attuale, la politica italiana consistente nell'intercettare migranti in mare e nel costringerli a tornare in Libia o in altri Paesi non europei, rappresenta una violazione del principio di non-respingimento".
E' quanto sostiene il Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Cpt) del Consiglio d'Europa che ieri ha pubblicato il rapporto relativo alla visita condotta nel luglio 2009 in Italia, corredato dalla risposta del Governo italiano. Questi documenti sono stati resi pubblici su richiesta delle autorità italiane.

Il Comitato sottolinea che, "l'Italia è vincolata al principio di non-respingimento indipendentemente dal luogo in cui essa eserciti la sua giurisdizione, il che non esclude l'esercizio della stessa attraverso il proprio personale e le navi coinvolte nella protezione dei confini o nel soccorso in mare, anche quando operino al di fuori delle acque territoriali. Inoltre, tutte le persone che rientrano sotto la giurisdizione dell'Italia dovrebbero poter avere la possibilità di richiedere la protezione internazionale e di fruire delle strutture necessarie".
Secondo le informazioni a disposizione del Cpt, si legge ancora nel Rapporto, "durante il periodo preso in esame, le autorità italiane non hanno offerto ai migranti intercettati in mare tali possibilità e strutture. Al contrario, alle persone rinviate in Libia nel quadro delle operazioni condotte da maggio a luglio 2009, è stato negato il diritto di ottenere una valutazione individuale del proprio caso, nonché un accesso effettivo al sistema di protezione dei rifugiati".
Secondo quanto emerso dal Rapporto, "la Libia non può essere considerato un paese sicuro in termini di diritti umani e di diritti dei rifugiati. La situazione delle persone arrestate e detenute in Libia, compresi i migranti, i quali corrono inoltre il rischio di essere espulsi in altri paesi, indica che coloro che sono rinviati verso la Libia rischiano di essere vittime di maltrattamenti".

Nella replica al Rapporto, le autorità italiane descrivono le operazioni di respingimento come "rinvio di migranti intercettati in acque internazionali, su richiesta di Algeria e Libia", nonché operazioni di ricerca e salvataggio. Le autorità indicano che nel corso di queste operazioni, durante il periodo esaminato dal Cpt, nessun migrante, una volta a bordo di una nave italiana, ha espresso l'intenzione di presentare richiesta di asilo. Le autorità indicano, inoltre, la presenza a bordo delle navi italiane di personale di lingua francese e inglese, al fine di fornire ai migranti informazioni pertinenti in caso di richiesta d'asilo. Qualora tale richiesta venga espressa, il migrante viene portato sulla terraferma.
Il governo italiano aggiunge che la Libia è vincolata dalle convenzioni internazionali che le impongono di rispettare i diritti umani, e che il paese ha ratificato la Convenzione dell'Organizzazione dell'Unità Africana del 1969 che disciplina gli aspetti specifici dei rifugiati in Africa, in base alla quale è tenuto a proteggere tutte le persone che sono perseguitate e che provengono da "aree a rischio". Le autorità italiane hanno infine menzionato l'esistenza di un ufficio dell'Unhcr in Libia in grado di soddisfare le esigenze di tutela delle persone rinviate. [Adnkronos]

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29 aprile 2010
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