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Gli Italiani risparmiano sempre meno per ''una condizione obbligata dalle circostanze''

Nel 2005 il 51,4% degli italiani non ha potuto mettere da parte nulla

23 dicembre 2005

La metà degli italiani non risparmia più
di M. Do. (Il Sole 24 ORE)

Gli italiani risparmiano sempre meno, investono con frequenza sempre più bassa e quando lo fanno privilegiano gli strumenti finanziari che garantiscono la maggiore sicurezza.
È questo, in sintesi, il quadro che emerge dal rapporto Bnl/Centro Einaudi sul risparmio e sui risparmiatori in Italia nel 2005.
La percentuale di chi non ha accantonato nulla nel 2005, secondo il rapporto, è salita al 51,4% contro il 48% del 2004, il 45% del 2003 e il 38% del 2002 ed è la percentuale più alta mai registrata (il precedente record era del 2001 con il 50%).

La quota media del reddito percepito che viene accantonata dai risparmiatori italiani risulta pari al 10%: un livello uguale a quello di due anni fa ma inferiore rispetto al 12% che rappresenta la media del periodo 1994-2002. La ricerca mette in luce come il mancato risparmio, piuttosto che essere una libera scelta, sia ''una condizione obbligata dalle circostanze''. Diminuisce, infatti, il reddito che, sottratte le spese, rimane disponibile per il risparmio.
Secondo l'indagine annuale la politica di riduzione fiscale attuata dal governo nel 2004 non ha avuto un effetto significativo: per l'81% degli italiani la riduzione delle tasse non ha modificato il proprio comportamento, dal momento che il taglio alle imposte è stato troppo limitato. La diminuzione della percentuale di risparmiatori in Italia si affianca, inoltre, con l'aumento del numero di italiani che non investono i loro risparmi. Secondo i dati del rapporto, infatti, la quota di chi non ha effettuato operazioni di acquisto negli ultimi 60 mesi è salita nel 2005 al 42% contro il 26% del 2004 e il 34% del 2003. Questa dinamica è, tra l'altro, aggravata dall'aumento dei prezzi delle attività finanziarie.

Gli investimenti degli italiani
L'abitazione di proprietà (acquisto o ristrutturazione) rimane il principale motivo del risparmio degli italiani (il 27% del totale). Seguono, ancora a livelli relativamente bassi, l'integrazione della pensione (9%), l'assistenza medica nella vecchiaia (al 3,5%), l'eredità (6%), le spese per l'istruzione (7%). Ma, oltre le esigenze ben preventivabili e ipotizzabili, il vero motivo primario per il risparmio resta il caso di eventi imprevisti, indicati dal 42% degli italiani.
Per quanto riguarda poi i criteri che guidano i risparmiatori nelle scelte di investimento, dalla ricerca emerge che gli italiani si orientano in base ad una serie di fattori tra cui spiccano la sicurezza dell'investimento, il rendimento immediato, la liquidità dell'investimento e l'aumento di capitale in un arco di tempo pluriennale. Questi criteri si riflettono in scelte che da un lato premiano gli strumenti più sicuri (come l'acquisto di abitazioni, scelto dal 12% dei risparmiatori contro il 10,8% dello scorso anno) e dall'altro penalizzano gli strumenti percepiti come non più sicuri (come i bond privati) e non remunerativi nell'immediato (come i titoli di Stato, che sono stati acquistati dal 9,30% dei risparmiatori, contro il 12,6% del 2004).
Tra gli investimenti in ripresa appaiono, accanto alle abitazioni, anche i fondi comuni e le gestioni patrimoniali.

Le famiglie italiane scelgono una sola banca
Le maggioranza delle famiglie italiane continuano a puntare su un'unica banca per gestire tutte le loro attività finanziarie. Dal rapporto emerge che l'82,1% dei nuclei familiari ha aperto uno o più conti correnti presso una sola banca, mentre il 15,4% si avvale di due banche. La banca più utilizzata per le operazioni di incasso e di pagamento è anche quella alla quale ci si rivolge prevalentemente per i servizi più evoluti, come la consulenza per gli investimenti e la gestione personalizzata del patrimonio mobiliare.
Lo studio Bnl/Einaudi evidenzia un buon rapporto tra il cliente e la propria banca di fiducia: il 76,7% degli intervistati si è dichiarato infatti soddisfatto, nel complesso, della banca di famiglia, un dato che coincide con quello rilevato in occasione dell'indagine svolta nel 2004. Il leggero calo della percentuale dei ''molto soddisfatti'' (da 8,8 a 7,7 per cento) è bilanciato dall'aumento della percentuale relativa agli ''abbastanza soddisfatti'' (da 67,9 a 69,0 per cento).
L'insoddisfazione nei confronti della banca di famiglia, quando si manifesta, non si traduce in reclami, nella maggior parte dei casi: soltanto il 30,6% dei risparmiatori insoddisfatti dichiara infatti di averne presentati. Va anche tenuto presente, però, che un altro 28,9% afferma di avervi rinunciato, pensando che ''tanto sarebbe stato inutile''. Nel 91,5% dei casi, il reclamo è stato presentato a voce a un funzionario della banca. Nel 7,2% dei casi, la lamentela è stata invece formalizzata in una lettera alla banca, mentre soltanto un reclamo su 100 è stato affidato a un'associazione di consumatori.
Ancor più diffusa della percezione dell'inutilità dei reclami nei confronti della banca di famiglia risulta la sensazione che anche cambiando banca la situazione non migliorerebbe in modo sostanziale. È la convinzione che le banche siano in fondo tutte uguali, condivisa dal 32,3% dei risparmiatori. L'11,6% degli italiani insoddisfatti della banca di famiglia non pensa di chiudere il rapporto con essa a causa dell'elevato livello delle spese di chiusura. L'8,6% è frenato dalla comodità della sua ubicazione mentre il 3,4% è trattenuto dal fatto di avere in corso un mutuo con questa banca. Al contrario, il 34,5% degli insoddisfatti dichiara di stare seriamente valutando l'opportunità di chiudere il rapporto con questa banca per affidarsi ad un altro intermediario: un'altra banca, nel 17,7% dei casi, oppure le Poste, nel 16,8% dei casi.

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23 dicembre 2005
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