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Gli scontri, i chiarimenti e quelle distanze incolmabili...

Mentre si avvicina l'archiviazione per lo scontro tra le procure di Palermo e Caltanissetta, il procuratore Grasso constata che "Le istituzioni non fanno il tifo per noi"

21 luglio 2011

Va verso l'archiviazione il procedimento avviato dal Consiglio superiore della magistratura sul contrasto tra le procure di Palermo e Caltanissetta riguardo al caso di Massimo Ciancimino. La prima commissione del Csm ha infatti proposto all'unanimità di archiviare i fascicolo, e adesso si dovrà pronunciare il plenum.
Per la Commissione, presieduta dal laico Guido Calvi, se contrasto c'è stato, questo si sarebbbe risolto con l'incontro tra i responsabili dei due uffici convocato alla Direzione nazionale antimafia dal procuratore Piero Grasso, lo scorso 28 aprile (LEGGI).
Una conclusione attesa questa, visto anche l’esito delle audizioni dei mesi scorsi dei protagonisti della vicenda davanti al Csm. Grasso per primo il 17 maggio scorso parlò ai consiglieri di Palazzo dei marescialli (LEGGI) di un’intesa che reggeva, riferendosi all’impegno delle due procure a scambiarsi gli atti, sancito in quella riunione alla Dna (LEGGI). I contrasti sono stati superati con quel vertice, hanno assicurato anche i procuratori di Palermo, Francesco Messineo (LEGGI), e di Caltanissetta, Sergio Lari (LEGGI), quando agli inizi di luglio sono stati ascoltati dalla Prima Commissione.
La tensione, che durava da mesi sulla gestione di Ciancimino, aveva raggiunto il suo acme quando la procura di Palermo aveva disposto il fermo del figlio di don Vito, per calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, accusa per la quale era già aperta un’indagine a Caltanissetta. "Abbiamo agito in maniera affrettata perché temevamo che Ciancimino stesse per fuggire, ma da parte nostra non c’è mai stata nessuna volontà di compiere un’invasione di campo nell’inchiesta di Caltanisetta", ha spiegato Messineo ai consiglieri di Palazzo dei marescialli.

E se da una parte, il Csm, le procure palermitana e nissena e la Direzione nazionale antimafia dimostrano che tensioni, diverbi e screzi possono appianarsi con la serità e il rigore della logica, dall'altra parte, da quella politico-istituzionale per intenderci, esistono e nascono sempre motivi che creano una convivenza difficile che a volte ha raggiunto toni inaccetabili. Insomma, le istituzioni e più in generale la politica non "tifano" per i magistrati impegnati nella lotta a Cosa nostra. Sono proprio queste parole del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, pronunciate durante un dibattito a Palermo, ad esprimere con chiarezza il malessere dei magistrati. "La mafia e la politica convivono come i pesci con l’acqua: gli uni non possono fare a meno dell’altra. E purtroppo le istituzioni non sostengono, come dovrebbero, i magistrati impegnati nella lotta a Cosa nostra. Non mi sembra – ha detto Grasso – che le istituzioni facciano il tifo per noi. Semmai come categoria mi sento attaccato, delegittimato".
E subito si riapre un confronto polemico che segna una distanza, all'apparenza incolmabile, tra la magistratura e il potere politico. "Tante ragioni segnano questa distanza" dice Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone e procuratore a Termini Imerese. "Basta intanto vedere qual è lo stato della giustizia con carenze di strutture, di personale e di magistrati che tutti conoscono. Poi gli attacchi e il dispregio si ripetono tutte le volte che un politico finisce sotto inchiesta. Ricorre spesso la parola complotto e si accusano i magistrati di essere inaffidabili e di lavorare per interessi diversi da quelli della giustizia". Anche per Nino Di Matteo, presidente della sezione distrettuale dell'Anm, c'è una "denigrazione generalizzata" che si accompagna a progetti di riforma pericolosi per i principi costituzionali dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e dell'indipendenza della magistratura. Di Matteo coglie oggi il rischio che la magistratura possa diventare un potere "servente" rispetto a quello politico mentre mancano misure legislative efficaci contro la concussione e la corruzione che "rappresentano per la mafia un grimaldello per la penetrazione nell'economia e nelle istituzioni".
"C'è una grande questione morale - sottolinea Morvillo - che richiede forti controindicazioni per la vicinanza di alcuni politici e uomini delle istituzioni ad ambienti mafiosi". L'idea di Morvillo è quella di estendere la sfera di applicazione della legge sullo scioglimento dei comuni per inquinamento mafioso. "La legge - dice - parla di elementi non di prove. Bene, se la politica volesse fare pulizia al proprio interno basterebbe applicare lo stesso principio a chi ha cariche pubbliche o si candida alle elezioni. Nel primo caso scatterebbe la decadenza, nel secondo l'ineleggibilità. E la politica finirebbe per salvaguardare se stessa".

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ing, Repubblica/Palermo.it]

 

 

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21 luglio 2011
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