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Gomorra

Saviano-Garrone... Garrone-Saviano per un film assolutamente necessario

19 maggio 2008


 






Noi vi consigliamo...
GOMORRA
di Matteo Garrone

Chi vive in provincia di Caserta, tra Aversa e Casal di Principe, si scontra ogni giorno non solo con i soldi e il potere ma anche con il sangue. La possibilità di scegliere, la libertà di vivere una vita 'normale' è quasi nulla: se non vuoi pagare con la vita, devi sottostare al Sistema. Il mondo criminale e affaristico della Camorra segue la vita delle merci, da quelle 'fresche' che arrivano al porto di Napoli e vanno smistate a quelle 'morte', le scorie, anche tossiche, che vengono versate nelle discariche o direttamente nascoste nel terreno. Seguendo i percorsi delle merci, dagli abiti griffati alle scorie chimiche, si scopre la vita della camorra e le storie di quelli, dai più potenti ai ragazzini affascinati o sottomessi, che danno vita alla Gomorra dei giorni nostri...


Anno 2008 
Nazione Italia
Produzione Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema e Sky 
Distribuzione 01 Distribution
Durata 135'
Regia Matteo Garrone
Tratto dal romanzo omonimo di Roberto Saviano
Sceneggiatura Roberto Saviano, Massimo Gaudioso, Gianni Di Gregorio, Ugo Chiti, Matteo Garrone
Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster
Genere Drammatico

"Ho dovuto lavorare per sottrazione scegliendo solo alcune storie. Il film è in 5 episodi con protagonisti e comprimari che animano un film corale, come per l'America di Altman, l'Italia del Rossellini di Paisà, rendendoci complementari al libro. E' come se lo raddoppiassimo, ogni luogo ha una sua storia e i personaggi assumono una forza inedita. (...) Ma non pensate a un film di denuncia tradizionale con la classica divisione tra bene e male, tra buoni e cattivi, perché in realtà le cose sono più complicate e i confini più confusi. Mi interessa l'aspetto umano di queste persone, le loro contraddizioni."
Dalle note di regia di Matteo Garrone

La critica
"Narrazione impassibile, osservazione da entomologo, esplosioni di orrore e di follia mischiate alla quotidianità di un 'sistema' di cui vive (e muore) non solo una circoscritta banda di delinquenti ma una vasta comunità, con ramificazioni che arrivano dappertutto. Lecito naturalmente appellarsi o appigliarsi a tutti i riferimenti di rito, dai modelli coppoliano o scorsesiano a quello del nostro grande Rosi. Ma è tanto vero che Garrone esprime un punto di vista e uno sguardo che il suo cinema e il suo film non somigliano a niente."
Paolo D'Agostini, 'la Repubblica'

"Soprattutto un film d'antropologia sociale. 'Gomorra' si distingue e si distacca dal libro da cui è tratto: non è un'opera di informazione né di rivelazione, né di denuncia né di protesta. Come in un formicaio superattivo, la gente è sempre in movimento alla ricerca di un'occasione. I camorristi sparano come se allontanassero le mosche, con una frequenza e impassibilità da massacro: i colpi sono secchi, senza eco. Nel paese del sole il cielo è grigio, opprimente. La regia di Matteo Garrone e gli interpreti sono ammirevoli."
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'

"Come si capisce se un bel film italiano è un grande film in assoluto? C'è un test infallibile. Basta chiedersi se lo consiglieremmo a un amico straniero. 'Gomorra' passa a pieni voti per varie ragioni. Perché mostra un mondo mai visto con tanta forza e coerenza. Perché a forza di cesellare immagini e parole rende incredibilmente vero quel mondo incredibile, cancellando ogni traccia di messa in scena. E perché ci fa capire quanto quel mondo sia vicino, anzi consustanziale al nostro, anche se non lo vogliamo vedere. (...) A differenza di tanti brutti film, 'Gomorra' non spiega nulla ma ci fa capire tutto. È il segno più certo della sua grandezza. Anziché disperdere energie collegando fatti e destini, Garrone va dritto all'essenziale. Rielabora con fantasia e libertà cinque storie tratte dal romanzo-reportage di Saviano, ma non cerca nessi a tutti i costi. Tanto ogni personaggio si porta la sua verità scritta addosso; ogni scena è una resa dei conti, reale o figurata; ogni episodio approda a uno squarcio più eloquente di mille parole. Per questo le immagini di 'Gomorra', belle perché vere, e viceversa, sono così emblematiche e insieme naturali. Come i corpi e i volti scelti da Garrone dopo un lavoro di inchiesta che si indovina lungo e accurato.(...) Un romanzo diventato uno dei pochi grandi film italiani del decennio. Da non perdere."
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'

"Il pregio di Garrone è di tenersi distante dall'emozione, dall'esibizione, finanche dalla politica e dalla cronaca. E' un osservatore attento, scrupoloso, inappuntabile: documenta, dopo aver scelto i cinque episodio meno legati alla cronaca, più universali e immediati. Documenta vendo scelto i luoghi, gli ambienti, le persone, i volti, le lingue, le luci, i rumori, le musiche, legate anch'esse all'ambiente che le contiene e le proietta all'esterno, confondendosi con gli spari, i pianti, in quella che è una normalità incrinata, spezzata, difficilmente sanabile."
Luca Pellegrini, 'L'Osservatore Romano'

"Tutta la socio-crimonologia diluita in Gomorra renderà il film di moda. Gli darà anche larghi incassi? Se così fosse, il filone impegnato-meridionale, alla Rosi appunto, avrebbe una reviviscenza. (...) Il pubblico medio, quello sotto i venticinque anni, potrebbe restare confuso. Qui non ci sono amori, amoretti, lucchetti. E le corse in moto, alla maniera di Step/Scamarcio, avvengono solo in vista di un omicidio. E nessuna ragazza si lascia guardare nuda, se non per campare. A giudicare da Gomorra, sembrerebbe che le prostitute immigrate siano più serie delle borghesi italiane".
Maurizio Cabona, 'il Giornale'

"A volte la verità è più sconvolgente ancora, a volte il film diventa il mezzo con cui una realtà «irraccontabile » prende forma. Una forma che il regista usa con un rigore e una moralità dello sguardo davvero encomiabile. Come i veri grandi sanno fare".
Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera'

"Matteo Garrone ha fatto un grande film, e non era scontato (...). Vedetelo, ma sappiate che uscirete dal film come da sotto un treno: Gomorra racconta un'Italia senza speranza (...)".
Alberto Crespi, l'Unità

"Il libro di Roberto Saviano ci ha spiegato che la parola "camorra" è un ferro vecchio, non la usa più nessuno tra i diretti interessati e non significa niente. Ci ha fatto gelare il sangue parlandoci, con la competenza e la conoscenza di chi ha visto le cose da vicino, di qualcosa che è molto più che un gravissimo, esteso, radicato, impunito e duraturo fenomeno criminale, ma è un "sistema" aziendale che guida e governa l'economia e la vita di interi quartieri, intere città e province, intere regioni d'Italia. Il film di Matteo Garrone, anche se sceglie solo alcune tracce del libro e circoscrive il suo percorso a cinque storie, ricalca del libro l'andatura a quadri slegati e indipendenti gli uni dagli altri. Non una narrazione lineare, non una vicenda con inizio, sviluppo e fine. Sembra che però libro e film convergano nella conclusione: tutto questo si può forse osservare, conoscere, studiare e perfino denunciare se si ha il privilegio di guardare le cose da fuori, da zone salve, o la forza e il coraggio di farlo, ma le cose stanno così e in sostanza non c'è niente che si possa fare per cambiarle, recuperarle e guarirle. Il messaggio tanto cupo da indurre di pagina in pagina nella tentazione di girare la testa dall'altra parte ma coraggioso e temerario del libro diventa un messaggio di impotenza nel film. Né in un caso come questo ci si può trincerare dietro l'affermazione che si tratta di "una storia", di "un racconto". Che storia, che racconto? Si è scelto di parlare della più terribile emergenza nazionale, presentissima e attualissima.

Dunque, sebbene non sia in discussione che Garrone è oggi uno dei registi italiani (e non solo) più dotati, soffermarsi su luci e inquadrature, scelte musicali, montaggio e recitazione - tutto peraltro di pregio - appare esercizio sterile e tempo perso. E' il film, la sua potentissima ispirazione civile e il suo ancoraggio a una mostruosa realtà a invitarci in questo senso. A farsi la domanda: serve? A che serve? Aiuta a trovare soluzioni? Viene la tentazione di pensare che romanzi e film e forse perfino inchieste giornalistiche e televisive non servono più e casomai amplificano un immaginario del terrore che inorgoglisce e fa sentire glorificati i boss; che sarebbe meglio tacere e lasciare il campo all'opera repressiva per un verso e per l'altro a un radicale e paziente lavoro di investimento sull'educazione, l'istruzione e il lavoro delle generazioni future, a lunga e lunghissima scadenza. Perché, allora, certi problemi abitualmente non ce li facciamo di fronte alla letteratura o al cinema americani dedicati alla malavita ma neanche davanti ad altri casi nostri come Romanzo criminale? Forse perché è proprio l'efferatezza senza spiragli esposta con puntiglio entomologico da Saviano, efferatezza che va molto al di là dei classici campi criminali ma permea tutto dall'alta moda al traffico di rifiuti, a dirci che questa è l'ultima spiaggia, a lanciare un allarme definitivo.

Il paesaggio infernale di luoghi chiamati Scampia, Secondigliano e Casal di Principe, se non è fotogenico folclore partenopeo (anche lo schifo estremo può essere fotogenico) soffermarsi su bambini e adolescenti la cui unica scuola è quella delle armi e la cui unica aspirazione è quella di essere affiliati ai clan, chiama a un esame di coscienza che va molto, ma molto al di là della disamina sulle qualità di uno spettacolo cinematografico. Due soli personaggi incarnano il debolissimo barlume di speranza che non tutto è perduto. Il sopraffino sarto Pasquale che smette di mettere la sua arte al servizio del lavoro nero finanziato dai clan e destinato all'alta moda gloria mondiale del "made in Italy". E il neolaureato Roberto che si ribella al datore di lavoro (Servillo) che tratta rifiuti tossici per conto di rispettabilissimi interlocutori del nord.
Il film di Garrone inizia il suo viaggio e porta il suo agghiacciante spaccato italiano sotto i riflettori di una prestigiosa tribuna internazionale. Chissà che cosa capiranno, chissà che cosa penseranno?”.
Paolo D'Agostini, 'la Repubblica'
 
Film realizzato con il contributo del Mibac - Girato nel Napoletano, da Secondigliano a Scampia, e a Caserta. Per evitare curiosità sul ciak era scritto 'Tre storie brevi' - Gran Premio della Giuria al 61mo Festival di Cannes (2008).

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19 maggio 2008
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