Henry Cartier-Bresson, ultima posa
E' morto il grande maestro francese della fotografia, fondatore dell'agenzia Magnum Photos
Il fotografo Henry Cartier-Bresson si è spento lunedì scorso a Isle sur la Sorgue, in Provenza, sul sopraggiungere dei 96 anni, li avrebbe compiuti il 22 agosto. La notizia è stata resa ufficiale solo ieri pomeriggio.
Iniziò la sua carriera più di settant'anni fa, nel 1930, qualche anno dopo fondò la Magnum Photos, la più importante agenzia fotografica del mondo. E' stato il fotografo più apprezzato del '900 e definito "il padre della fotografia". Fermò nei suoi scatti quasi un secolo di eventi.
Henry Cartier-Bresson nacque il 22 agosto 1908 nelle prossimità di Parigi. Seppur membro di un'importante famiglia dell'industria tessile, Bresson sin da giovane s'interessò all'arte e, in particolare, alla pittura. Frequentò i caffè di Parigi, partecipando alle discussioni dei surrealisti che incoraggiavano artisti e scrittori a ricercare il significato intimo delle cose nascosto sotto la superficie della vita quotidiana.
Quando per la prima volta vide le foto di Martin Munkacs ne rimase colpito sia per la loro bellezza che per lo strumento utilizzato, una macchina fotografica piccola, efficace, che permetteva stupefacenti composizioni nel formato rettangolare 35mm. Bresson si allontanò dunque dalla pittura in favore della fotografia. Egli stesso affermò: "L'avventuriero che è in me si sentì obbligato a testimoniare con uno strumento più immediato di un pennello le ferite del mondo."
Nel 1932 acquistò la sua Leica, una macchina piccola, precisa, sensibile e maneggevole con la quale iniziò a cogliere momenti di vita e sguardi sul mondo caratterizzati da un'estrema finezza di visione e da una profonda disciplina formale.
"Divenne un prolungamento del mio occhio e d'allora non me ne sono mai separato. Giravo tutto il giorno per le strade, sentendomi sempre in agguato, pronto a gettarmi per "intrappolare" la vita, a conservarla nel momento stesso in cui è vissuta."
Le fotografie di Bresson uniscono all'intuito un acuto studio di composizione di forme, luci, volumi, fissando la realtà in un momento decisivo.
L'opera di Bresson fa parte del patrimonio culturale internazionale e molte sue foto sono diventate icone dell'immaginario contemporaneo. Tra il '32 e il '34 scattò in Francia, Spagna, Italia e Messico alcune delle sue foto più note, rivelando la sua grande abilità artistica, ma anche la profonda consapevolezza del suo impegno sociale.
Tra il '48 e il '50 si affermò come fotoreporter trascorrendo lunghi periodi in India, Birmania, Pakistan, Cina e Indonesia, dove fu testimone non solo di importanti avvenimenti politici, ma seppe anche cogliere l'atmosfera e la vita di culture lontane e misteriose.
Bresson è stato anche un grande ritrattista. Ha immortalato alcune delle più note figure del secolo scorso, ma ha anche reso volti anonimi immortali nei suoi ritratti, fotografando tutti con lo stesso sguardo intransigente e la stessa curiosità.
"Un ritratto è per me la cosa più difficile. Devi provare a mettere la macchina fotografica tra la pelle di una persona e la sua camicia."
A metà anni '60 cominciò a mostrare insoddisfazione nei confronti del suo lavoro fino ad arrivare quasi a distruggere parte della sua opera. Nel '66 abbandonò la Magnum da lui stesso fondata nel '47 con Capa, Seymour, Rodger, Eisner e i Vandivert, deluso soprattutto dalla sempre più imperante commercializzazione della fotografia. Successivamente Bresson abbandonò definitivamente la fotografia per riavvicinarsi alla pittura e al disegno
Da "Henry Cartier Bresson e 'l'informalità" del Reportage", di Roberto Maggiori
[...] Henri Cartier-Bresson (1908) può legittimamente considerarsi il padre del reportage contemporaneo, efficace grazie alla sua presenza discreta, riscontrabile oltre che nella ripresa dell'evento anche nell'immagine stampata che, pur essendo in bianco e nero, mantiene toni naturali, non esasperati. Discrezione, dicevamo, funzionale a catapultarlo nella realtà viva, non condizionata dall'incombenza evidente del mezzo di riproduzione. In altri casi invece la realtà è stata influenzata dai fotoreporter presenti "sul fatto" che interagendo con l'ambiente, attraverso la loro manifesta presenza, hanno determinato il corso degli avvenimenti. Si pensi alle situazioni instabili in cui scene di violenza si manifestano o aumentano la loro efferatezza proprio per la presenza del fotografo e quindi dei mass media che questo rappresenta. La strumentalizzazione di un fatto a fini propagandistici è un problema etico che a tutt'oggi il fotogiornalismo è riuscito ad arginare solo in quei casi in cui si è potuto-voluto adottare la formula candid di Cartier-Bresson.
Bresson pur attraverso una minima eleganza formale, privilegia dunque l'approccio documentario; ma non una documentazione analitica, bensì un documento istantaneo, istintivo, sintesi di una situazione colta velocemente nel suo divenire. Una percezione più umana che meccanica colta dall'occhio nel momento irripetibile in cui un evento si manifesta. Più che fotografie le sue sono porzioni di tempo e spazio vissuti dall'autore e memorizzati dalla macchina fotografica. Il loro valore è quindi più concettuale che formale se è vero che la realtà si consuma nella sua stessa esistenza e non può dunque essere ridotta a "cosa". La noncuranza per l'aspetto meramente formale si manifesta anche nella stampa integrale del negativo senza tagli o manipolazioni; stampa peraltro delegata a terzi. Inoltre Cartier-Bresson non esita all'occorrenza ad utilizzare immagini mosse o sfuocate, purché queste evochino l'esistenza di cui sono la proiezione.
L'ossessione per la vita, così come la registra il suo "occhio", si palesa anche nella scelta degli obiettivi, volutamente "naturali", simili alla percezione visiva umana (35 e 50 mm), obiettivi che data la corta focale rendono necessaria la presenza nell'evento contrariamente alla contemplazione distaccata possibile con un teleobbiettivo. Quindi l'eleganza formale, più che derivare da una messa in posa, da un manifestarsi della presenza manuale dell'autore, si rivela conseguenza diretta della realtà colta nel suo attimo epifanico, significante esistenzialmente grazie alla presenza e al coinvolgimento del fotografo. Insomma secondo Bresson per significare il mondo, è necessario sentirsi coinvolti in quello che si ritaglia attraverso il mirino. […]
Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un fatto e l'organizzazione rigorosa delle forme percepite visualmente che esprimono e significano quel fatto. E' mettere sulla stessa linea di mira la testa, l'occhio e il cuore. E' un modo di vivere.
- The decisive moment