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Primo lungometraggio di Ursula Meier... drammatico, burlesco, satirico e fantastico

29 gennaio 2009

Noi vi consigliamo...
HOME
di Ursula Meier



La tranquilla esistenza di Marthe e Michel, e dei loro tre bambini, sta per essere sconvolta dal completamento dei lavori di costruzione di un'autostrada, che passa proprio accanto alla loro abitazione nel bel mezzo della campagna. Sebbene tentino di fronteggiare il disagio del continuo passaggio di automobili, ben presto tutti i componenti della famiglia cominciano a dare segni di insofferenza e irritabilità, ma il desiderio di rimanere nella loro casa si dimostra più forte di ogni avversità....

Anno 2007 
Nazione Svizzera, Francia, Belgio
Produzione Box Productions, Archipel 35, Need Productions
Distribuzione Teodora Film
Durata 95' 
Regia Ursula Meier
Sceneggiatura Ursula Meier, Antoine Jaccoud, Raphaëlle Valbrune, Gilles Taurand
Con Isabelle  Huppert, Olivier Gourmet, Adelaïde Leroux, Madeleine Budd, Kacey Mottet Klein
Genere Drammatico


In collaborazione con Filmtrailer.com

La critica

"Home avrebbe anche potuto intitolarsi 'Gli effetti dei raggi gamma sui fiori di Matilda', in quanto, come il capolavoro di Paul Newman, si situa all'incrocio miracoloso (e piuttosto raro dalle nostre parti) di due influenze opposte: il cinema classico americano (e i suoi continuatori), per il quale la famiglia è il collante sufficiente e necessario di tutta la vita collettiva, e una certa modernità europea, che non considera la famiglia se non dal lato conflittuale, nevrotico. Inoltre, quanto è in gioco nel film di Ursula Meier è la lenta contaminazione di un progetto da parte di un altro, il passaggio da una visione bucolica emersoniana al "famiglie, io vi odio" di André Gide; l'orizzonte, utopico e nonostante ciò disincantato, è quello del cinema americano degli anni settanta, quello di registi (Malick, Cimino, ai quali a volte qui si fa riferimento) che venerano John Ford ma già hanno visto troppo Bergman.

Dalle prime inquadrature, Home sembra un episodio de La casa nella prateria con Patti Smith nel ruolo di Laura Ingalls: la tribù formata da Isabelle Huppert, Olivier Gourmet e i loro tre marmocchi gioisce di una felicità senza complessi, che niente, nemmeno la nudità provocatrice di una delle figlie o l'eccessivo pudore dell'altra, sembra poter scalfire. (...) I personaggi, vergini d'intenzioni, non hanno altro passato che il super-io cinematografico dei loro attori: si intuisce, infatti, che Isabelle Huppert dovrà nascondere qualche terribile nevrosi, o che l'orco Gourmet (il più americano degli attori francofoni, a suo agio qui come in Mesrine o Coluche) non chiederà altro che risvegliarsi, ma la regista, furbamente, elude le nostre aspettative, almeno in un primo momento. Al copione della spirale nevrotica, inevitabile dal momento in cui la strada viene asfaltata (una bella sequenza, ai limiti del fantastico) e l'incessante frastuono delle automobili (ammirevole il lavoro sul suono) instaura la sua dittatura, Ursula Meier oppone, il più a lungo possibile, la commedia illusoria della felicità - quella del "facciamo come se..." - trovando l'occasione per frammenti di lirismo magnificamente fotografati dall'operatrice di Claire Denis, Agnès Godard".
Jacky Goldberg, 'Les Inrockuptibles'

"Se di favola si tratta, il suo contenuto non è così semplice. Nel film di Ursula Meier non c'è traccia di paradisi perduti o parabole ecologiste. Qualche scena d'interni, come quella della sala da bagno, è rivelatrice. Il luogo è decisivo, poiché mostra insieme l'apparente libertà dei corpi e la vertigine del soffocamento. La nudità originaria, infatti, non può essere accettata da tutti. La giovane Marion, coscienza pudica e sofferente della famiglia, non riesce ad adattarsi alla promiscuità dei corpi. Ed è così che dal frutto nasce il verme: la rinascita del traffico sull'autostrada non farà altro che svelare il carattere disfunzionale, i disaccordi e gli squilibri del sistema famigliare originale, mostrandone l'utopia e il pericolo mortale insito nella sua inscindibilità.

Ci si accorge, allora, che la figlia grande, Judith, egoista e fuori di testa, all'improvviso è uscita dal gruppo. Che la nevrosi materna e la devozione paterna - l'uomo non smette mai di alimentare la follia della moglie - costituiscono il collante dell'unità famigliare. Splendida e inquietante la complementarietà della Huppert e di Gourmet, rispettivamente musa e artefice di un ideale da incubo che fa scivolare il film da Tati verso Haneke. (...)
La sindrone buñueliana dell'angelo sterminatore, tipica della regista, si ritrova anche in Home, attraverso la dissezione dell'amour fou e la costante trasgressione della nozione di genere. Road movie dell'impasse, Shining del terzo tipo, Trafic (Monsieur Hulot nel caos del traffico - 1971 di Jacques Tati) del settimo continente. Ci si rammenta anche che la meravigliosa Ursula ha di recente dato vita a un ritratto di Pinget, "re della contraddizione". E tira fuori il meglio proprio dalle crepe di una sceneggiatura che ha il suo punto di forza nel fatto di non raccontare tutto".
Thierry Méranger, 'Cahiers di Cinéma'



"Se si vuole considerare che il liberismo consiste in gran parte nell'organizzazione del panico, l'automobile (per fuggire, ma dove?) e la casa (per nascondersi, ma per quanto tempo?) funzionano allora come un doppio abitacolo protettivo che paradossalmente espone l'individuo moderno ai violenti sbalzi di temperatura dell'esterno. Ursula Meier non ha anticipato la grande crisi che stiamo attraversando, ma è stata concentrata per più di dieci anni sul progetto di Home, dedicato a una famiglia prigioniera di una baracca le cui finestre e il cui giardino danno su un'autostrada ultrarumorosa. E questa potrebbe essere una metafora sarcastica del comfort contemporaneo, la messa in scena grottesca delle esigenze contraddittorie del cittadino medio, che vuole al tempo stesso la calma del paesaggio circostante e la vicinanza delle grandi arterie stradali. (...) Il film trova un modo nuovo di affrontare e rimettere in gioco il tema della famiglia nevrotica, questo recinto che rende folli. Ma Home è interessante soprattutto per la sua maniera di farci rivivere terrori ancestrali, precoci, quelli dell'infanzia, quando il sogno ci obbligava a visitare luoghi famigliari - la cucina, il bagno, le varie camere... - sotto la luce sinistra di una scena del delitto immemorabile. L'autostrada richiama, con particolare chiarezza, l'incubo di una civilizzazione della velocità e della violenza che celebra su quattro corsie e da più di un secolo il suo "strano romanzo d'amore con la macchina e - non è da escludersi - con la propria morte e la propria distruzione", per citare l'autore di Crash, J.G. Ballard".
Didier Péron, 'Libération'



"Home fa pensare a Cassavetes, ovviamente (per Isabelle Huppert, sorella lontana della Gena Rowlands di Una moglie). E al Polanski degli inizi: quello di Repulsion e Cul de sac, per il senso dell'inquietudine e dello scherno. Ma si tratta di riferimenti superflui, poiché la maggiore qualità del film è quella di essere assolutamente originale. Ursula Meier è riuscita a girare una fiaba piena di colori vivi e intrecci misteriosi, di tracce che ci indica senza mai obbligarci a seguirle... Si sente, in  lei, un piacere dell'invenzione, del rischio, della sorpresa. E anche della provocazione. Del far riflettere, in ogni caso, - giusto così, di sfuggita - su una società tentata maggiormente dalla propria asfissia che dalla sopravvivenza. A suo modo, Home è evidentemente un racconto morale".
Pierre Murat, 'Telerama'



"Sono rari i film capaci di tirare le fila di un intreccio imprevedibile. Il primo lungometraggio di Ursula Meier, una volta assistente di Alain Tanner, è al tempo stesso drammatico e burlesco, satirico e fantastico. Questa favola è immersa in un'estetica iperrealista che ricorda le pubblicità americane dedicate a glorificare gli elettrodomestici. (...) Home segue il processo infernale di una famiglia che, nel voler coltivare la propria felicità marginale, non solo è braccata dai peggiori aspetti della civilizzazione (calca, mancanza di privacy, frastuono, inquinamento) ma si ritrova letteralmente imprigionata. Poiché la vita quotidiana di questi falsi Robinson diventa un incubo, i problemi nascosti della famiglia vengono a galla, e il film diventa la storia di una resistenza suicida. Non ci si comprende più, si dorme tutti nella stessa stanza che dà sul giardino, imbottiti di sonniferi, con le finestre sbarrate. Fino al soffocamento".
'Le Monde'

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29 gennaio 2009
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