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I bambini poveri dei Paesi ricchi

Dal rapporto UNICEF "Figli della recessione: l'impatto della crisi economica sul benessere dei bambini nei Paesi ricchi"

01 novembre 2014

Un nuovo rapporto dell’UNICEF rileva che, dal 2008, 2,6 milioni di bambini nella gran parte dei Paesi ricchi del mondo sono scivolati sotto la soglia di povertà. Oggi la stima dei bambini che vivono in povertà nel mondo sviluppato è di 76,5 milioni. L’Innocenti Report Card 12, "Figli della recessione: l’impatto della crisi economica sul benessere dei bambini nei Paesi ricchi", presenta dati e analisi su 41 Paesi dell’OCSE e dell’Unione Europea.
"In Italia 1 bambino su 3 vive in povertà, con oltre 600mila bambini poveri in più rispetto al 2008. Inoltre dal 2008 al 2012 l’Italia registra una riduzione del reddito dei nuclei familiari perdendo 8 anni di potenziali progressi economici. Il 16% dei bambini italiani è in condizioni di grave deprivazione materiale. In Italia, la percentuale di ragazzi tra 15-24anni che non studia, non lavora e non segue corsi di formazione (NEET) è aumentata di quasi sei punti dal 2008, raggiungendo il 22,2%, il tasso più alto dell'Unione Europea, cioè oltre un milione di giovani che vivono in questo limbo", ha dichiarato il Presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera.

Tra le evidenze significative del rapporto dell’UNICEF emergono: dal 2008, in 23 Paesi dei 41 analizzati la povertà infantile è aumentata. In Irlanda, Croazia, Lettonia, Grecia e Islanda sono aumentati di oltre il 50%; nel 2012 in Grecia il reddito mediano dei nuclei familiari con bambini è ritornato ai livelli del 1998 - l’equivalente di una perdita di 14 anni di progresso in termini di reddito. Secondo questa rilevazione l’Irlanda, il Lussemburgo e la Spagna hanno perso un decennio; l’Islanda ha perso 9 anni e l’Italia, l’Ungheria e il Portogallo hanno perso 8 anni.
Inoltre, la recessione ha colpito duramente soprattutto i giovani tra i 15 e i 24 anni, con un numero di NEET (ragazzi che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione) che è cresciuto drammaticamente in molti paesi. Nell’Unione Europea, nel 2013, 7,5 milioni di giovani erano classificati come NEET, quasi l’equivalente della popolazione della Svizzera.

Negli Stati Uniti dove l’estrema povertà infantile è cresciuta più durante questa recessione che durante quella verificatasi nel 1982, le misure per una rete di sicurezza sociale hanno garantito un supporto importante alle famiglie lavoratrici povere, ma sono state meno efficaci per i poveri senza lavoro. Dall’inizio della crisi la povertà infantile è aumentata in 34 stati su 50. Nel 2012, 24,2 milioni di bambini vivevano in povertà, con un incremento netto di 1,7 milioni dal 2008.
In 18 Paesi la povertà infantile è diminuita, talvolta in modo marcato. Australia, Cile, Finlandia, Norvegia, Polonia, Repubblica Slovacca hanno ridotto i livelli di circa il 30%.
L’"Innocenti Report Card 12" classifica 41 Paesi dell’OCSE e dell’Unione Europea a seconda dell’aumento e della diminuzione dei livelli di povertà infantile dal 2008. Il rapporto rileva anche la percentuale di giovani tra 15 e 24 anni che non studiano, non lavorano o non seguono corsi di formazioni (NEET) e include i dati del Gallup World Poll sulla percezione che i singoli individui hanno della loro condizione economica e sulle speranze per il futuro da quando è iniziata la recessione.

Mentre all’inizio i programmi di incentivi in alcuni Paesi sono stati efficaci per proteggere i bambini, dal 2010 una gran parte di Paesi hanno capovolto i bilanci dagli incentivi ai tagli, con un impatto negativo sui bambini, soprattutto nella regione del Mediterraneo.
"Molti Paesi ricchi hanno fatto "un grande passo indietro" in termini di reddito e le conseguenze avranno ripercussioni a lungo termine per i bambini e le loro comunità", ha dichiarato Jeffrey O’Malley, Direttore UNICEF Divisione Statistiche, Ricerche e Analisi. "La ricerca dell’UNICEF mostra che la forza delle politiche di protezione sociale sarebbe stata un fattore decisivo per prevenire la povertà. Tutti i paesi hanno bisogno di forti reti di sicurezza sociale per la protezione dei bambini sia durante congiunture negative sia positive – e i Paesi ricchi dovrebbero fare da esempio impegnandosi esplicitamente per eliminare la povertà infantile, sviluppando politiche per controbilanciare la regressione e facendo del benessere infantile la prima priorità".
Secondo O’Malley "il rapporto mette in evidenza, in modo significativo, che le risposte di politica sociale dei paesi con condizioni economiche simili sono cambiate sensibilmente, con impatti diversi sui bambini". [Fonte Agenzia internazionale stampa estera]

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01 novembre 2014
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