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I cinque talebani rilasciati in cambio della libertà di Daniele Mastrogiacomo sono pronti a riprendere il Jihad

21 marzo 2007

''Sono subito ritornato con i miei fratelli, imbracciando due fucili in modo da riprendere il Jihad per cacciare gli invasori e combattere gli apostati''.
Sarebbero state queste le prime dichiarazioni di Ustad Muhammad Yasir, liberato dalle prigioni afghane nell'ambito dello scambio con i talebani per la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. A diffonderle sono stati i forum islamici su Internet che, in un messaggio intitolato ''Il ritorno nella mischia'' a firma di Abdullah al-Ibad, raccontano appunto del rilascio del leader talebano. ''Un membro della sua famiglia mi ha detto che Ustad Yasir li ha chiamati dalla provincia di Helmand - si legge nel messaggio sul Web - quando è arrivato nelle zone controllate dai talebani per rassicurarli sull'avvenuta liberazione. Me lo ha detto suo figlio Omar''.
Il cinquantasettenne capo combattente talebano avrebbe quindi deciso di riprendere a combattere al fianco dei mujahidin contro le truppe Nato presenti in Afghanistan. Ma il figlio Omar Muhammad Yasir nega che suo padre abbia l'intenzione di tornare a Quetta in Pakistan dove vive la sua famiglia e dove è stato catturato insieme a un buon numero di guerriglieri. Da qui venne estradato a Kabul nel 2005 per scontare sette anni di carcere. ''Non vuole più tornare in Pakistan - si legge nel messaggio - perché è stato questo paese a consegnarlo nelle mani del governo Karzai un anno e mezzo fa''. Omar ha aggiunto che suo padre ''continuerà il Jihad in Afghanistan con gli altri fratelli mujahidin''.

Per quanto riguarda gli altri quattro talebani scarcerati, l'altro ieri il mullah Dadullah, sempre molto attento nelle comunicazioni perché gli americani gli danno la caccia e sono pronti a captare il minimo segnale, ha rivelato all'agenzia afghana Pajhwok che tra essi ci sarebbe anche suo fratello, Mansoor Ahmad.
Un colpo di scena. Fino all'altro ieri, infatti, si pensava che fosse figlio di un capo tribale del Waziristan, area tribale pachistana divenuta il santuario di Al Qaeda. Secondo una ricostruzione poteva essere coinvolto in attentati anti-sciiti in Pakistan. In attesa di scoprire la verità su chi sia Mansoor si possono fare solo ipotesi: a) E' davvero uno dei due fratelli di Dadullah. Alla Difesa ne sono convinti mentre altre fonti smentiscono; b) E' una frottola grossolana, viene presentato come fratello dai talebani per mostrare di non aver svenduto l'ostaggio italiano.

Oltre al presunto fratello, Dadullah avrebbe ottenuto il rilascio di altri quattro personaggi vicini alla sua fazione. Il primo è Ustad Yasir, di cui abbiamo parlato all'inizio. Gli estremisti ne avevano chiesto la liberazione insieme a quella di Abdul Latif Hakimi, finito anche lui nello scambio con Mastrogiacomo. Conosciuto tra i talebani come il mufti, Hakimi ha diretto l'Ufficio propaganda, quindi si è occupato di rilanciare i rapporti con la stampa. Il mullah Omar in persona gli avrebbe assegnato questa missione puntando sulla sua intraprendenza.
Il percorso di Hakimi è battuto dal quarto della lista, il mullah Hafiz Hamdullah. Per lungo tempo ha guidato le colonne mujaheddin nel settore di Helmand, l'area del sequestro del reporter italiano. Dunque un complice di Dadullah, coinvolto in molte operazioni della guerriglia. Hamdullah è stato però catturato nell'estate 2006 a Quetta. Disponeva di un rifugio protetto e forse era pronto a compiere un attentato. Compiti militari per il numero 5 dello scambio, Abdul Ghaffar: un ''colonnello'' della ribellione nel Sud-est dell'Afghanistan.

Durante il difficile negoziato i talebani hanno rinunciato alla ''restituzione'' di Mohammed Hanif, altro portavoce detenuto a Kabul. Nei primi giorni del sequestro si era ipotizzato che potesse essere liberato. Uno scenario abbandonato perché Hanif si è opposto: ''Se torno in libertà mi fanno fuori''. I talebani non gli hanno perdonato di aver svelato che il mullah Omar trova spesso ospitalità a Quetta e che alcune scuole coraniche in Pakistan servivano come centro per kamikaze. Hanif, giurano a Kabul, è un morto che cammina.

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21 marzo 2007
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