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I DIECI

Restano in dieci gli aspiranti al ruolo di presidente della Regione: escluso Davide Giacalone

01 ottobre 2012

La Corte d'appello di Palermo ha deciso di estromettere dalla prossime elezioni per la presidenza della Regione siciliana la candidatura di Davide Giacalone sostenuto dalla lista "LeAli alla Sicilia". La decisione è motivata dal fatto che le firme raccolte per la candidatura di Giacalone sono risultate insufficienti. Restano così in corsa dieci candidati.
L'irregolarità delle firme era stata rilevata dalla commissione elettorale che aveva invitato i presentatori della lista a integrare la documentazione. Il presidente del movimento "LeAli alla Sicilia", Calogero Colletto, ha annunciato ricorso.

Con una lettera amara, uno sfogo accorato, Davide Giacalone, ha annuncia così il suo ritiro: "Abbiamo fallito ed è colpa nostra. Abbiamo creduto che la voglia di battersi e l’entusiasmo di pochi militanti potessero reggere il peso di una campagna tutta fondata sui contenuti e condotta in un clima di rassegnazione e disperazione. Ma abbiamo fallito. Alla prova della presentazione delle liste l’assenza di struttura organizzativa e di mezzi ha giocato un ruolo decisivo. Affondandoci.
Abbiamo la colpa di avere voluto rispettare le regole, attenendoci alla lettera della legge, senza fare come altri, senza raccogliere le firme su fogli ancora da compilare, in questo modo disponendo di più tempo. Eppure ci siamo riusciti, ma non a comporre l’intera documentazione richiesta, sulla base di una procedura fatta apposta per tagliare fuori chi non spende e chi non ha organizzazione precedente. Abbiamo la colpa di non avere accettato aiuti che ci avrebbero snaturato, o di avere pagato per avere consensi. Ed è colpa che portiamo con orgoglio. Abbiamo la colpa di avere creduto che l’esigenza del cambiamento fosse largamente sentita, con la colpa aggiuntiva di avere sfidato quanti usano i denari della politica per pagare la permanenza in politica. Non abbiamo la colpa di avere candidato un condannato (oltre tutto dirigente di Italia Confederata), perché di tutti avevamo il certificato di godimenti dei diritti politici.
I molti che c’incoraggiavano riservatamente hanno taciuto pubblicamente. Abbiamo avuto la colpa, quindi, di credere che avremmo potuto farcela. Nessun complotto, nessun colpo di mano. Non è nel nostro stile evocarli a sproposito. C’erano irregolarità pesanti in altre liste, ma inquadrate nella regolarità del falso. Abbiamo peccato di dilettantismo. Al tempo stesso, però, la battaglia che avevamo impostato era e resta giusta. Il lavoro che abbiamo svolto sui temi specifici, elaborando proposte concrete, resta l’incarnazione delle nostre convinzioni e un dovere nei confronti della Sicilia e dei siciliani. Per questa ragione la nostra corsa continua. Non più sulla scheda elettorale, assenti dalle urne perché incapaci di starci, ma nella esposizione di come il futuro potrebbe essere diverso, se solo una migliore classe dirigente fosse retta da maggiore consapevolezza collettiva.
Sapevamo bene di non essere candidati alla vittoria, naturalmente. Ci eravamo esposti per senso del dovere. Lo stesso che ci porta a continuare".

Insomma, dopo Claudio Fava, le regole (probabilmente troppo farraginose in alcuni casi) non seguite hanno fatto un’altra "vittima". Bisogno sottolineare comunque che, seppur con amarezza e un po’ di stizza, sia Fava che Giacalone hanno accettato le conseguenze del loro sbaglio, senza clamore inopportuno. Insomma, chi sbaglia paga, ed era da troppo tempo che non si vedevano persone pronte a pagare per i loro sbagli.
Diverso, invece, la questione "liste pulite". Infatti, nonostante i richiami a "codici etici", a concetti quali onestà, correttezza e legalità, quasi tutti i partiti hanno ricandidato esponenti politici che hanno avuto nel passato (più o meno recente) problemi con la giustizia.
Per fare un (facile) esempio, viene subito in mente il ricandidato Franco Mineo, deputato regionale di Grande Sud, attualmente sotto processo a Palermo perché accusato di essere un prestanome di Angelo Galatolo, esponente della famiglia mafiosa dell'Acquasanta e di malversazione e indagato in un altro procedimento per abuso d'ufficio.

"Non potevo rinunciare alla candidatura di Franco Mineo. Il problema non è quello dei voti ma dell'etica e io mi sento eticamente più apposto a evitare un altro caso Mannino o Musotto", ha spiegato il leader di Grande Sud e candidato presidente Gianfranco Micciché. "Mi sento eticamente più apposto e coraggioso a candidare Mineo, che avere poi il rimorso  -  ha aggiunto Micciché - di non avere candidato una persona perbene. Inoltre ha avuto la sensibilità di firmare le dimissioni in bianco in caso di condanna definitiva. Invece altri partiti candidano una persona indagata per violenza privata ma nessuno ha qualcosa da ridire".

La carica degli indagati nelle liste (Articolo di Antonio Fraschilla) - Il caso Mineo non è l'unico. Tra le maglie delle diciannove liste che raggruppano l'esercito dei 1.629 in corsa per uno scranno dorato all'Ars, sono tanti i candidati alle prese con guai giudiziari nella migliore delle ipotesi, condannati nella peggiore. Volti vecchi e nuovi che dimostrano come la battaglia sulle liste pulite sia ancora lontana dell'essere vinta.
Il senatore finiano Fabio Granata ieri ha lanciato un appello agli elettori siciliani: "Non votate i candidati compromessi". Il riferimento è a chi a condanne per reati contro la pubblica amministrazione o la mafia, ed ecco così che nella sua Siracusa può rimanere capolista nella lista di Fli-Nuovo Polo per la Sicilia Mario Bonomo. Deputato uscente ex Api, indagato nella vicenda per le mazzette nel fotovoltaico che ha portato all'arresto di Gaspare Vitrano, ex esponente del Partito democratico adesso a giudizio.

Nello Musumeci, invece, l'aveva detto: "Faccio il pane con la farina che ho a disposizione". Ed ecco che al suo fianco a Ragusa è tornato in campo nella lista del Pid-Cantiere Popolare un volto noto ai siciliani: l'ex presidente della Regione Beppe Drago, condannato in via definitiva a tre anni per l'utilizzo improprio dei fondi riservati di Palazzo d'Orleans. Rimanendo in area Musumeci, a Messina numero due nella lista del Pdl è il sindaco uscente Giuseppe Buzzanca, che invoca "l'oblio" per la vicenda che l'ha visto coinvolto, visto che ha ottenuto la "riabilitazione": è stato condannato a sei mesi per peculato. A Palermo per il Pdl corre Salvino Caputo, condannato a due anni (pena sospesa) per abuso d'ufficio e falso: quando era sindaco di Monreale avrebbe evitato il pagamento di alcune multe a un assessore e all'autista del vescovo. L'abuso d'ufficio non rientra nel codice etico varato dalla commissione Antimafia, ma ce n'è abbastanza per rinfocolare le polemiche, con Micciché che difendendosi per la scelta di candidare Mineo ha rinfacciato al Pdl "di puntare su candidati condannati come Caputo". Una condanna a quattro mesi per violenza privata (commutata in una multa) ce l'ha anche il capolista del Pdl a Trapani, l'ex sindaco di Trapani Mimmo Fazio. Mentre a Catania per il Cantiere popolare correrà Santi Catalano, "riabilitato" dopo un patteggiamento per abuso edilizio. Con lui in lista Mimmo Rotella, ex assessore regionale condannato a due anni e tre mesi per falso in bilancio.

Certo, tra chi ha guai giudiziari c'è anche un aspirante governatore come Cateno De Luca, alle prese con un processo per abuso d'ufficio e falso per una vicenda che risale a quando era sindaco di Fiumedinisi, ma anche tra gli autonomisti di Lombardo non mancano i "casi" in corso. A Ragusa numero due nella lista del Partito dei siciliani è Riccardo Minardo, arrestato per pochi giorni e adesso a giudizio per truffa per una vicenda che riguarda l'utilizzo anomalo dei fondi europei. A Catania, il capolista del Partito dei siciliani è Giuseppe Arena: "Ho avuto in primo grado una condanna a 2 anni e 9 mesi per falso ideologico per una vicenda assurda  -  dice  -  per aver cioè approvato il consuntivo del Comune di Catania, nonostante tutti i pareri favorevoli". Nella stessa lista Fabio Mancuso, finito per qualche giorno ai domiciliari e indagato adesso per bancarotta. A Siracusa capolista è Giuseppe Gennuso, coinvolto in un'inchiesta su autorizzazione per l'apertura di Sale Bingo ("Ma non ho nemmeno un avviso di garanzia ", dice), mentre a Caltanissetta ecco Pino Federico, alle prese con una vicenda giudiziaria per voto di scambio.
Anche nel Partito democratico il caso liste pulite ha creato qualche mugugno. A partire dal caso dell'ex sindaco di Alcamo, Giacomo Scala, alle prese con un processo per abuso d'ufficio e tirato in ballo per un'altra vicenda che riguarda reati più gravi, come la truffa. In realtà Scala per quest'ultima vicenda non è nemmeno indagato: "Non è mai stato raggiunto da un avviso di garanzia, probabilmente c'è un esposto anonimo alla Procura  -  dice il segretario regionale del Pd Giuseppe Lupo  -  e in base alla nostra carta dei valori e al codice etico Scala è candidabile". Stesso discorso per Elio Galvagno a Enna, deputato uscente adesso nella lista Crocetta: "Sono indagato da anni per reati che riguardano la gestione dell'Ato rifiuti, ma non sono stato mai rinviato a giudizio".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, LiveSicilia.it, Repubblica/Palermo.it]

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01 ottobre 2012
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