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I gestori del Don Panino di Vienna sono italiani!

Dopo lo scoppio del "caso diplomatico" si scopre che il locale (chiuso da due mesi) era gestito da italiani

10 giugno 2013

E' diventato un caso diplomatico internazionale l'utilizzo da parte del locale 'Don Panino' di Vienna di nomi delle vittime di Cosa nostra per la vendita di alcuni sandwich. Così Peppino Impastato, l'attivista di Cinisi massacrato dai mafiosi nel 1978, è stato definito "un siciliano dalla bocca larga, cotto in una bomba come un pollo nel barbecue", mentre il giudice Giovanni Falcone, assassinato a Capaci nel 1992 è "il più grande rivale della mafia di Palermo, ma purtroppo sarà grigliato come un salsicciotto".
Un'iniziativa di cattivo gusto, bollata come "volgare e blasfema" dalla sorella del magistrato Maria Falcone, che ha innescato una rovente polemica con interventi di esponenti politici e associazioni antimafia. Tranne poi scoprire che il locale, gestito peraltro da una coppia di italiani, è chiuso da due mesi.

La vicenda ha scatenato egualmente una pioggia di reazioni, fino ad approdare negli uffici della Farnesina. Il ministero degli Esteri, attraverso l'incaricato dell'ambasciata italiana a Vienna, ha infatti definito "inaccettabile e offensivo" l'utilizzo in maniera distorta di nomi di persone che si sono distinte nella lotta a Cosa nostra.
Peccato che a offrire dell'Italia "un'immagine avvilente" siano stati proprio degli italiani: Marco e Julia Marchetta, infatti, sono i gestori che nella descrizione della pagina Facebook dell'esercizio dicono di aver avuto l'idea "nell'estate del 2009, a casa, in Sud Italia". Vivendo in Austria, entrambi avevano una fame enorme e nessuna voglia della cucina austriaca. Dopo molte riflessioni si sono accordati "su un panino pieno di delizie tipiche del loro paese".

Sulla bacheca Fb del pub, però, dopo l'avvio di due petizioni online, (una ha già superato le 7.300 adesioni) fioccano gli insulti, le proteste e persino l'idea di boicottare viaggi in Austria. Particolarmente indignata anche la comunità italiana di Vienna che, attraverso Paolo Federico, ha promosso una petizione: "Ormai il locale sembra vuoto e dei proprietari non vi è traccia - dice Federico - ma l'uso della mafia è consentito anche in altri posti di Vienna, come le pizzerie 'Mafiosi', 'Camorra' o 'Al Capone'".
Il locale 'Don Panino', che strizzava l'occhio allo stereotipo della mafia con coppola e lupara anche nei cartelloni pubblicitari, era già chiuso prima della petizione, "ma il menù - sottolinea Federico - è ancora presente su tutti i siti di consegna a domicilio di Vienna lieferservice.at, willessen.at, mjam.at. Probabilmente dopo questo scandalo non riapriranno comunque. E soprattutto, altri imprenditori italiani o austriaci a cui dovessero venire idee 'geniali' del genere, ci penseranno due volte. L'obiettivo è proprio impedire o scoraggiare l'uso della mafia come brand pubblicitario o marchio commerciale".

DE VULGARE INSOLENZA
di Agostino Spataro (montefamoso.blogspot.it)

La sconcertante vicenda del pub viennese "Don Panino" ha provocato la giusta indignazione di tanti contro quei paninari austriaci (o di altra nazionalità?) che hanno avuto il cattivo gusto di accostare nel loro menù mafiosesco i nomi delle vittime a quelli dei loro carnefici.
Reazione sacrosanta, ma, forse, non fino al punto di promuovere un’azione diplomatica per rimuovere quella sconcezza. Giacché, il risultato potrebbe essere esattamente contrario allo scopo: quello cioè di procurare una pubblicità (indiretta) al pub in questione. Immaginate, questa estate, quanta gente, trovandosi a Vienna, andrà a fare una visitina al famigerato locale!
La chiamano "provocazione". In realtà si tratta di un volgare artifizio per attirare clienti che, certo, non va sottovalutato ma nemmeno ingigantito.
In primo luogo, il problema è di tipo culturale, comportamentale e soprattutto bassamente commerciale e riguarda non solo i gestori ma anche gli avventori che frequentano tali locali.

Purtroppo, di tali sconcezze ve ne sono diverse in giro per il mondo come si po' vedere da questo piccolo campionario di foto prese in alcune, rinomate città turistiche, anche molto lontane dalla Sicilia.
Come reagire? I modi possono essere tanti. Il più efficace credo sia quello di non procurare pubblicità indiretta (anche se indignata) e soprattutto di non mettere piede dentro un posto che ricorre a un marchio, così tragico e infamante, per fare cassetta. Per il resto, sarà responsabilità, morale e culturale, delle autorità di non concedere simili licenze che certo non fanno onore alle loro civilissime città.

Il "Ristorante Corleone" nel centro storico della bellissima e civilissima città di Cracovia (patria del papa Giovanni Paolo II), dove presidiano l’entrata, a perenne richiamo degli allocchi, due manichini raffiguranti don Vito e un  killer. Ovviamente, c'è anche un menù infarcito di "spaghetti alla lupara", "pappardelle alla Don Vito", ecc. ecc.

Questa è la pizzeria "Il Padrino- Pizza club" ubicata nel centro storico di Eger (antica città ungherese, di grande richiamo turistico). Un marchio, una garanzia. Qui le pizze sono proposte secondo il "canone mafioso".

Questa è la vetrina del "Soho London" di Budapest ispirato al "Padrino" dove, con 699 fiorini (meno di 3 euro), ti danno una pizza al "padrino". Mi dicono "immangiabile".

Qui, invece, siamo a Calafate, (Argentina) nella Patagonia meridionale, in una regione estrema chiamata "Fine del mondo", nelle cui vicinanze, scendono dalle Ande i più grandi ghiacciai terrestri del Pianeta: il Perito Moreno, Uppsala, ecc. Calafate è una piccola città di pionieri dell’industria turistica, con un grande avvenire davanti a se. Anche qui è arrivato "Don Corleone" con il suo drugstore piazzato sulla promenade del lago Argentino.

[Foto di Agostino Spataro]
 

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10 giugno 2013
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