I giudici dell'Aja hanno emesso i mandati di cattura per Gheddafi e il figlio
Il rais accusato di crimini contro l'umanità commessi nei confronti degli oppositori del regime di Tripoli
La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di cattura nei confronti del leader libico Muhammar Gheddafi, il figlio primogenito Saif Al-Islam Gheddafi e Abdullah Al-Senussi, capo dei servizi di intelligence di Tripoli.
Il procuratore capo del Tribunale, Luis Moreno-Ocampo, tiene oggi una conferenza stampa sulla decisione presa dalla Corte circa la sua richiesta di emettere i mandati di arresto (LEGGI) per l'accusa di crimini contro l'umanità commessi nei confronti degli oppositori del regime di Tripoli a partire dal febbraio 2011. E' la prima volta che la Corte emette mandati di cattura mentre il conflitto durante il quale sono stati commessi i crimini è ancora in corso.
In particolare, i giudici dell'Aia hanno annunciato che Gheddafi è ora ricercato per aver programmato l'uccisione, il ferimento, l'arresto e la detenzione di centinaia di civili durante i primi 12 giorni di sommosse volte a destituirlo, e per aver cercato di coprire i presunti crimini. In teoria il Colonnello e i suoi accoliti dovranno essere arrestati se si recheranno in uno dei 116 Paesi che hanno sottoscritto il Trattato di Roma il 17 luglio 1988 costitutivo della Cpi. La Libia, però, non ha mai sottoscritto il trattato di Roma, quindi "non accetta la giurisdizione della Cpi". E, come ha fatto sapere ieri in serata il ministro della Giustizia Mohammed Al-Qamoodi, "la Libia non accetta la decisione del Cpi, decisione che è per il mondo occidentale uno strumento per perseguire i leader del Terzo Mondo - ha detto al Qamoodi - ed è per la Nato una copertura per colpire il leader libico". La decisione del Cpi, ha accusato ancora al Qamoodi, è un pretesto "per la Nato, che ha cercato e ancora sta cercando di assassinare Gheddafi".
"Non è opportuno mettere altra benzina sul fuoco con la richiesta di portare Gheddafi come imputato alla Corte dell'Aja. Il colonnello non ci andrà, penso che rimarrà in Libia", aveva osservato prima della decisione del Cpi monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vescovo di Tripoli. "Mi auguro che i negoziati possano avviarsi presto - ha spiegato all'Adnkronos mons. Martinelli - ormai siamo arrivati a 100 giorni di bombe: siamo stanchi. Il rais ha accettato di non partecipare ai negoziati, purché si vada avanti nei colloqui tra Unione africana e Bengasi. La sua volontà di dialogo è già una cosa positiva, il resto lo lascerei da parte". "Se non terminano i bombardamenti, che in questi ultimi tempi hanno fatto tante vittime - ha detto il vicario apostolico di Tripoli - è inutile insistere ad accusare Gheddafi. C'è comunque un desiderio da parte della Nato di frenare i bombardamenti, per ragioni economiche. Le bombe - conclude mons. Martinelli - non risolvono mai i problemi".
Sul fronte dei negoziati, il ministro della Salute libico Mohammed Hijazi e quello degli Affari Sociali Ibrahim Sherif sono arrivati l'altro ieri in Tunisia, dove da mercoledì si trova il ministro degli Esteri Abdelati al-Obeidi, per condurre "negoziati con rappresentanti stranieri". E' quanto ha riferito ieri l'agenzia di stampa tunisina Tap.
Domenica l'Unione Africana aveva reso noto che Gheddafi non avrebbe partecipato ai negoziati dell'Ua. "In Libia il negoziato non solo è possibile ma deve esserci e deve essere concluso rapidamente", ha osservato il ministro degli Esteri Franco Frattini. Il ministro ha sottolineato però che Muammar Gheddafi "non può partecipare a nessun negoziato perché è isolato e su di lui pende un mandato di cattura internazionale".
L'Unione europea, da parte sua, fa sapere di non essere "al corrente di negoziati in corso in Tunisia" sulla Libia, ma ribadisce il suo no ad ogni coinvolgimento di Gheddafi.
Intanto sono arrivate nuove notizie dal fronte libico. Gli insorti, dopo aver consolidato il controllo della zona delle montagne occidentali, controllano la loro posizione nell'area di Bir al-Ghanam, circa 80 km a sudovest di Tripoli e 30 da Zawiya, nodo nevralgico verso la Tunisia. Lo hanno reso noto i ribelli. Domenica l'area è stata teatro di intensi combattimenti con armi pesanti. "Siamo alla periferia sud e ovest di Bir al-Ghanam", ha detto al telefono Juma Ibrahim, un portavoce dei ribelli dalla vicina località di Zintan. "Ci sono stati scontri per tutta la giornata di ieri. Alcuni nostri combattenti sono caduti da martiri e anche loro (i governativi) hanno avuto perdite. Abbiamo catturato equipaggiamento e automezzi. Oggi è piuttosto tranquillo e i ribelli stanno tenendo le posizioni", ha aggiunto.
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Corriere.it]