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I guardiani del Vulcano. Con la tecnica della ''tomografia sismica'' si potranno prevedere le eruzioni

24 agosto 2006

L'ultimo suo fantasmagorico spettacolo lo ha riservato ai fortunati che alla fine di luglio si trovavano nel catanese, ma in futuro sarà possibile ''calendarizzare'' il programma degli show che il vulcano più attivo d'Europa, l'Etna, avrà intenzione di dare.
Tale straordinaria possibilità è resa possibile grazie alla tecnica, descritta sulla prestigiosa rivista Science, che è stata utilizzata per la prima volta su un vulcano attivo e in modo ripetuto nel tempo grazie a una ricerca italiana condotta da cinque ricercatori dell'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia della sezione di Catania.
Si tratta di una sorta di ''Tac'' sismica ripetuta nel tempo che ha permesso di osservare, all'interno dell'Etna, la grande massa di magma ricco di anidride carbonica che si è formata nel fianco del vulcano prima della grande eruzione del 2002. Un'arma in più per valutare il volume di magma presenti nei vulcani e riuscire a prevedere sia l'intensità che l'arrivo di un'eruzione vulcanica.

La tomografia sismica sfrutta le registrazioni delle onde generate in modo naturale da un terremoto, o in modo artificiale da un'esplosione, per ottenere immagini tridimensionali della struttura interna, in un modo molto simile alla Tomografia assiale computerizzata (Tac) utilizzata in medicina per le diagnosi. È una tecnica nota nella sismologia da alcuni decenni e si sta utilizzando sempre di più anche in ambito industriale, per la ricerca di giacimenti petroliferi o per seguire le migrazioni di gas di importanza geotermica.
Cinquanta stazioni di monitoraggio in quota (45 fisse e 5 temporanee) hanno scandagliato le viscere dell'Etna tra il 2001 e il 2003, mostrando nei dettagli la lava che montava o defluiva nel sistema di vene e crepacci interni del vulcano. E oggi i risultati dello studio sono stati pubblicati su Science dai cinque ricercatori. Domenico Patanè, portavoce del gruppo (gli altri sono Graziella Barberi e Ornella Cocina dell'Ingv di Catania, Pasquale De Gori e Claudio Chiarabba del Centro Nazionale Terremoti dell'INGV), ha spiegato: ''Siamo partiti raccogliendo le onde generate dai terremoti dell'Etna o da piccole esplosioni artificiali. Lette con la tecnica della tomografia, queste onde sismiche ci hanno descritto in tre dimensioni la struttura interna del vulcano, con le sue radici profonde e i processi di risalita del magma. Per la prima volta abbiamo applicato la tecnica della tomografia sismica in diversi periodi di tempo per vedere che cosa succede nella crosta terrestre''.

''L'idea di applicare questa tecnica a un vulcano attivo è nata per capire che cosa succede all'interno del vulcano nei periodi eruttivi e nelle fasi di riposo'', ha detto Patanè.
Le onde sismiche sono state registrate per 18 mesi. Nel luglio del 2001, le viscere dell'Etna apparivano sgonfie dopo una prima eruzione dalle bocche della Montagnola. Per otto mesi la situazione è rimasta tranquilla, fino a quando nell'aprile del 2002 le stazioni di rilevamento non hanno registrato l'afflusso di nuovo magma. La risalita della roccia incandescente è stata molto rapida, e questo può spiegare la violenza dell'eruzione iniziata nell'ottobre del 2002, accompagnata da terremoti, esplosioni, lava e lapilli scagliati nell'aria. Tanta potenza (ben 712 sono state le scosse sismiche analizzate dai geologi dell'istituto di geofisica) si osserva raramente nei vulcani di tipo basaltico come l'Etna e ha continuato a scatenarsi fino a gennaio del 2003.

Il metodo potrà essere usato per tenere sotto controllo i vulcani più pericolosi del mondo, perché capaci di emissioni di lava particolarmente violente o perché situati vicino a città e centri abitati. ''Lo strumento che abbiamo messo a punto - ha spiegato ancora Patanè - sarà importante per fare previsioni di eruzione a medio e breve termine. Avendo a disposizione un buon numero di stazioni miglioreranno i tempi di preavviso e sarà possibile localizzare i volumi di magma che stanno per alimentare un'eruzione''.
Enzo Boschi, presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, aggiunge: ''Saremo ora in grado di prevedere l'attività di vulcani esplosivi come il Vesuvio, evitando i falsi allarmi''.
Le stazioni di monitoraggio in vetta all'Etna esistono da sempre. ''Ma sono state potenziate negli ultimi cinque anni - prosegue Boschi - e oggi ci permettono di pubblicare studi scientifici d'avanguardia. Il vulcano siciliano è il più monitorato al mondo''.
Esaurite le colate nel gennaio 2003, l'Etna non ha comunque deciso di assopirsi, e le analisi dell'Istituto di geofisica hanno continuato a tenere la situazione sotto controllo. ''Nel 2004, nel 2005 e nel luglio del 2006 - ha continuato Patanè - si sono verificate nuove fuoriuscite di magma dalla sommità del vulcano. Ma nella crosta superficiale non si erano accumulati grandi volumi di magma ricco di gas, e infatti le eruzioni non hanno creato nessun problema ai centri abitati. Le colate si sono tranquillamente dirette lungo la depressione naturale della Valle del Bove''. Esattamente come i ''guardiani del vulcano'' avevano previsto.

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24 agosto 2006
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