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I legali di Provenzano ricorrono alla Corte europea

Il boss è al 41 bis "ormai in fin di vita, che pericolo può rappresentare chi non è più in grado di riconoscere neppure i suoi familiari?"

27 settembre 2013

Gli avvocati difensori del boss Bernardo Provenzano, Rosalba Di Gregorio e Franco Marasà, hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo chiedendo la condanna del governo italiano per "il trattamento carcerario inumano" subito dal capomafia e per la prosecuzione del 41 bis cui è sottoposto a Parma nonostante gravissime condizioni di salute.
I legali, che motivano il ricorso tra l'altro sulla base della violazione ripetuta delle delle norme europee sul trattamento carcerario, chiedono anche "una equa riparazione, comprensiva dei danni patrimoniali e morali subiti".

Nel ricorso lungo 37 pagine, gli avvocati, che in passato proprio per le gravi condizioni del boss hanno chiesto sia la revoca del carcere duro sia la sospensione dell'esecuzione della pena, ripercorrono la lunga serie di patologie da cui il capomafia è affetto. "Una parkinsoniana rigido-acinetica di grado severo, numerose patologie interessanti l'apparato urinario, l'apparato tiroideo e l'apparato encefalico con sofferenze di tipo ischemico e manifestazioni tumorali, del tutto inconciliabili con la detenzione carceraria e con il regime speciale di cui all'art. 41 bis". Inoltre citano l'esito della perizia disposta dal gip di Palermo che esclude che "il paziente possa relazionarsi con il mondo esterno e comunicare in modo congruo e proficuo con gli interlocutori" e la sua capacità di partecipare coscientemente al processo.

Gli avvocati contestano la violazione dell'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che vieta i trattamenti inumani e degradanti. "La protrazione dell'esecuzione della pena e, per di più, in regime di cui all'art. 41 bis, in ragione dell'aggravarsi delle condizioni di salute del detenuto, contrasta - dicono - con il basilare senso dell'umanità, risulta lesiva del fondamentale diritto alla salute e impedisce il normale regime trattamentale, provocando una smaccata violazione dei diritti umani garantiti dalla Convenzione così come interpretata dalla giurisprudenza di codesta Corte". "Inumanità - proseguono - della situazione alla quale si aggiunge, a sua volta, l'indifferente silenzio dello Stato che, al contrario, avrebbe dovuto prestare particolare e maggiore attenzione alla situazione detentiva e alle condizioni di salute estremamente gravi di Provenzano, concedendogli la revoca del regime di carcere duro, una volta aggravatesi le sue condizioni. Non si comprende davvero quale pericolosità possa temersi in un soggetto, sebbene con un vissuto criminale intenso, ma ormai ridotto in fin di vita, non più in grado di riconoscere neppure i suoi familiari".

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27 settembre 2013
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