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I percorsi della nuova schiavitù. I nuovi schiavi si muovono per l'Italia insieme alle stagioni di raccolta

26 settembre 2006

C'è la raccolta delle ciliegie in estate, quella del pomodoro nel mese di settembre, quella dell'uva, delle olive e delle mele nei mesi autunnali. Ognuna di queste raccolte ha poi delle precise coordinate geografiche. Su e giù per lo stivale, compreso le isole.
Sono questi i percorsi, o se vogliamo, la mappa della nuova schiavitù. Sono queste le coordinate che seguono gli immigrati che entrano in Italia con un visto turistico o di studio e rimangono per mesi e mesi a sconquassarsi la schiena con lavori resi disumani dai ''caporali''.
Manodopera che costa niente, sommersa e invisibile da spremere a più non posso; da umiliare, minacciare, schiavizzare.

Il mese scorso il giornalista de ''L'espresso'', Fabrizio Gatti, con la sua inchiesta intitolata ''Io schiavo in Puglia'' aveva tolto il velo da una realtà straconosciuta dalla maggior parte delle persone. Mascherandosi da immigrato si era ''infiltrato'' in uno dei tanti campi di pomodoro, o meglio, campi di lavoro forzato della provincia foggiana, e qui aveva registrato le condizioni inumane che i lavoratori stranieri sono costretti a subire. Un impressionante salto indietro al tempo dei raccoglitori di cotone nelle sterminate campagne americane.

Ma non esiste solo la Puglia con i suoi pomodori e i suoi maledetti aguzzini. Diverse sono le regioni d'Italia con le loro differenti colture e il loro bisogno di manodopera, bisogno che sempre più spesso si trasforma in occasione di criminalità.
Negli scorsi giorni sono state diciotto le persone denunciate nella provincia trapanese, accusate di caporalato, cioè di intermediazione illecita di manodopera, di sfruttamento del lavoro minorile, sfruttamento nel settore vitivinicolo e favoreggiamento della permanenza di clandestini. Ad essere arrestati anche alcuni immigrati già provvisti di provvedimento di espulsione.

Quello scoperto dai carabinieri del comando provinciale di Trapani sul territorio della provincia, soprattutto nelle campagne di Marsala e Petrosino e a Pantelleria, zone note per la produzione di vino, era un vero e proprio business basato sulla schiavitù.
Una quarantina di stranieri, alcuni anche minorenni, venivano avvicinati in un punto di raccolta, caricati sui mezzi di trasporto e distribuiti in varie zone per svolgere un lavoro che durava per un numero indefinito di ore e talvolta non veniva nemmeno retribuito. I clandestini vivevano, nelle poche ore di tregua dal lavoro, in condizioni di abbandono e disperazione, ammassati in casolari diroccati nel Trapanese.
Quelli tra loro che sono stati individuati a Marsala sono di nazionalità tunisina, rumeni quelli trovati a Pantelleria. Nel corso dell'operazione sono state sequestrati numerosi veicoli utilizzati dagli sfruttatori per il trasporto dei clandestini.

L'operazione, condotta dai carabinieri del comando provinciale di Trapani è il risultato di un'indagine coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica di Marsala, Giulia D'Alessandro, che è stata condotta sulla base di videoriprese che documentavano lo sfruttamento del lavoro e la violazione costante di ogni forma di tutela previdenziale e assistenza lavorativa.
Altre operazioni contro il lavoro nero e lo sfruttamento del lavoro a domicilio e nel settore dell'edilizia e la pastorizia sono state portate a termine nelle scorse settimane. Gli inquirenti ritengono che alla testa del traffico e dello smistamento della manodopera illegale ci sia la criminalità organizzata.

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26 settembre 2006
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