I pm firmano la richiesta di archiviazione per Schifani
Il presidente del Senato era indagato per concorso esterno in associazione mafiosa
La richiesta di archiviazione è pronta. Alle firme dei tre sostituti titolari dell'indagine, ieri si è aggiunta quella del procuratore aggiunto, Antonio Ingroia e il visto del capo dell'ufficio Francesco Messineo. La trasmissione al gip è solo una formalità: il tempo di predisporre il fascicolo, poi la parola sulle sorti processuali del presidente del Senato Renato Schifani, da oltre due anni indagato per concorso in associazione mafiosa, passerà al giudice delle indagini preliminari.
Nel provvedimento con cui i magistrati chiedono la chiusura dell'inchiesta sulla seconda carica dello Stato si analizzano in dettaglio tutti gli elementi raccolti. Dichiarazioni di pentiti prevalentemente. Che, però, non sarebbero sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio.
Alla stessa conclusione la Procura era già arrivata in passato. Poi, nell'estate 2010, la richiesta al gip di riaprire l'inchiesta. Il fascicolo con la contestazione del reato di concorso in associazione mafiosa venne iscritto, per maggiore riservatezza, non col nome del presidente del Senato, ma con un nome di fantasia: Schioperatu.
Nell'inchiesta sono confluite le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. L'ex braccio destro dei boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano ha riferito di visite che Schifani, all'epoca avvocato amministrativista, avrebbe fatto a un suo cliente, l'imprenditore Pippo Cosenza. Negli stessi capannoni sarebbe stato presente anche Filippo Graviano, che allora non era latitante.
Alle accuse di Spatuzza si sono aggiunte quelle dei collaboratori di giustizia Francesco Campanella e Stefano Lo Verso, entrambi vicini al clan mafioso di Nicola e Nino Mandalà, i boss che curarono il periodo di latitanza a Bagheria di Bernardo Provenzano. Lo Verso, testimoniando in aula al processo per favoreggiamento aggravato al generale dei carabinieri Mario Mori, disse di avere saputo da Nicola Mandalà che avevano "nelle mani Renato Schifani, Marcello Dell'Utri, Totò Cuffaro e Saverio Romano".
Mentre Campanella, poi querelato per diffamazione da Schifani - il gip archiviò ma espresse dubbi sulla veridicità della accuse del pentito - parlò, tra l'altro, dei rapporti societari tra il presidente del Senato e Nino Mandalà, padre di Nicola, anche lui condannato per mafia. E raccontò di un presunto interessamento del presidente del Senato, allora avvocato e consulente urbanistico del Comune di Villabate, comune poi sciolto per infiltrazioni mafiose, per favorire gli affari del boss attraverso modifiche del piano regolatore. Ma le dichiarazioni dei collaboratori, per la procura, non sono abbastanza.
[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, GdS.it]
- Schifani indagato per mafia? (Guidasicilia.it, 01/10/10)