Il 30 Marzo del 1853, nasceva a Groot Zundert, in Olanda, Vincent Van Gogh
''Perché, mi dico, non possiamo prendere la morte per andare in una stella?''
Arles, Luglio 1888
[...] È veramente un fenomeno strano che tutti gli artisti, poeti, musicisti, pittori, siano materialmente degli infelici - anche quelli felici [...] Ciò riporta a galla l'eterno problema: la vita è tutta visibile da noi, oppure ne conosciamo prima della morte solo un emisfero?
I pittori - per non parlare che di loro - quando sono morti e sepolti parlano con le loro opere a una generazione successiva o a diverse generazioni successive.
È questo il punto o c'è ancora dell'altro? Nella vita di un pittore la morte non è forse quello che c'è di più difficile.
Dichiaro di non saperne assolutamente nulla, ma LA VISTA DELLE STELLE MI FA SEMPRE SOGNARE, come pure mi fanno pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche città e villaggi. Perché, mi dico, [...] non possiamo prendere la morte per andare in una stella?
Da una lettera di Vincent Van Gogh al fratello Theo
Centocinquantadue anni fa, il 30 marzo del 1853, nasceva a Groot Zundert, in Olanda, Vincent Willelm Van Gogh.
Vincent Van Gogh rappresenta il prototipo più famoso di artista maledetto; di artista che vive la sua breve vita tormentato da enormi angoscie ed ansie esistenziali, al punto di concludere tragicamente la sua vita suicidandosi.
Ed è un periodo, la fine dell'Ottocento, che vede la maggior parte degli artisti vivere una simile condizione di emarginazione ed angoscia: pittori come Toulouse-Lautrec o poeti come Rimbaud finiscono la loro vita poco dopo i trent'anni, corrosi dall'alcol e da una vita dissipata. E, come loro, molti altri. Il prototipo di artista maledetto era iniziato già con il romanticismo. In questo periodo, però, la trasgressione era solo sociale: l'artista romantico era essenzialmente un ribelle antiborghese. Viceversa, alla fine del secolo, gli artisti vivono una condizione di profonda ed intensa drammaticità nei confronti non della società ma della vita stessa.
Una breve biografia
Vincent Van Gogh nasce nel 1853 a Groot Zundert, nel Brabante settentrionale.
È figlio di un pastore protestante
Nel 1869 Vincent van Gogh è all'Aia, dove lavora presso la succursale della galleria parigina Goupil. Comincia ad interessarsi all'arte.
Nel 1875 viene trasferito alla sede centrale di Goupil, a Parigi. Ma, in piena crisi religiosa, dopo un anno si licenzia. Va a vivere a Ramsgate (Londra), e poi a Isleworth, dove diventa aiuto predicatore di un pastore metodista.
Nel 1877 Van Gogh parte per Amsterdam, deciso a studiare teologia. Respinto agli esami di ammissione, si iscrive a una scuola per evangelizzatori. Parte, quindi, per il Borinage, una regione mineraria del Belgio meridionale, dove pensa di dedicarsi ai poveri.
Nel 1879 ottiene un breve incarico a Wasmes, ma il suo fanatismo religioso non piace ai superiori, che non gli rinnovano il mandato. Realizza i primi disegni di poveri e minatori. Lui stesso vive in grandi ristrettezze. Theo, suo fratello, che lavora da Goupil a Parigi, gli invia aiuti economici.
Nel 1880 Vincent Van Gogh si iscrive all'Accademia di Bruxelles.
Si trasferisce all'Aia, dove prende lezioni di pittura dal pittore realista Mauve.
Alla fine del 1883 torna in famiglia, a Nuenen. Qui allestisce uno studio e tiene lezioni di pittura. Dipinge scene di vita contadina e operai al lavoro, che culmineranno nell'opera ''I mangiatori di patate'' (1885).
Nel 1886 è a Parigi, dove segue i corsi di Cormon e diventa amico di Toulouse-Lautrec e Bernard. Tramite Theo, conosce gli altri artisti impressionisti. Conosce Paul Gauguin, colleziona stampe giapponesi e dipinge all'aperto con Bernard.
Nel 1887 Van Gogh organizza al Café du Tambourin la mostra del gruppo "du petit boulevard", con Gauguin e Bernard. Si dedica a ritratti e paesaggi.
Nel 1888 comincia ad attirarlo il Sud della Francia. Si stabilisce ad Arles, in Provenza. Progetta di costituire una comunità di artisti: quello che chiama "atelier del Sud".
Affitta la "Casa gialla", immortalata in alcune tele.
Con insistenza propone a Gauguin di raggiungerlo al più presto, allo scopo di dare vita a una sorta di comunità artistica. La convivenza dei due artisti dura solo alcune settimane, a causa dell'incompatibilità di carattere e della crescente instabilità psichica di Vincent. Dopo un tentativo di aggressione e la decisione di Van Gogh di tagliarsi l'orecchio, Gauguin torna a Parigi. Van Gogh cade in grave crisi depressiva. Viene ricoverato presso l'ospedale di Arles.
Nel 1889 Van Gogh viene internato nel manicomio di Saint-Rémy. Qui dipinge scorci del giardino, cipressi e uliveti. Le ultime opere vengono esposte al Salon des Indépendants a Parigi.
A Bruxelles espone con il Gruppo dei XX. Il critico Albert Aurier nel 1890 scrive entusiasticamente su di lui sul "Mercure de France". Espone nuovamente al Salon des Indépendants.
Nel 1890 Vincent esce dalla casa di cura, ma le condizioni psichiche sono sempre delicate.
Theo desidera averlo più vicino a sé. Così, alla fine di Maggio, Vincent si trasferisce ad Auvers-sur-Oise, presso il dottor Gachet.
Si mette subito al lavoro. Sembra sereno. Ma il 27 luglio, colto da un'altra crisi, in mezzo ad un accecante campo di grano, Vincent Van Gogh si spara un colpo di pistola.
Muore due giorni dopo, il 29 luglio 1890. Il funerale ha luogo all'indomani, e la sua bara è ricoperta di dozzine di girasoli, i fiori da lui tanto amati.
Saint-Rémy, 18 Novembre 1889
[...] Questo mese ho lavorato fra gli uliveti, perché mi avevano fatto arrabbiare con i loro cristi nell'orto degli ulivi, dove non c'è niente dal vero. Beninteso che non ho intenzione di fare qualcosa tratto dalla Bibbia [...]. L'olivo è cangiante come il nostro salice. [...] Ciò che il salice è da noi, lo sono con la stessa importanza l'olivo e il cipresso qui. Ciò che ho fatto è un realismo un po' duro e grossolano accanto alle loro astrazioni, ma servirà a dare la nota agreste e saprà di terra.[...] Sono sempre più convinto [...] che lavorando assiduamente dal vero senza dirsi preventivamente: «voglio fare questo o quest'altro», ma lavorando come se si facessero delle scarpe, senza preoccupazioni artistiche, non si farà sempre bene, ma verrà il giorno in cui, anche non pensandoci, si troverà un soggetto di pari valore del lavoro di quelli che ci hanno preceduto. Si impara a conoscere un paese, che in fondo è completamente diverso da come ci è apparso a prima vista. Ma se al contrario ci si dice: «voglio finire meglio i miei quadri, voglio farli con cura», e un sacco di idee del genere, le difficoltà del tempo e dei soggetti mutevoli arrivano ad essere insormontabili, e finisco col rassegnarmi dicendomi che sono l'esperienza e il piccolo lavoro di ogni giorno che a lungo andare maturano e permettono di completare un quadro o di farlo più esatto. Perciò il lavoro lento e continuo è la sola strada, e qualsiasi ambizione di far bene è sbagliata. Perciò è meglio rovinare le tele montando sulla breccia ogni mattina, che riuscire a farle. Per dipingere sarebbe assolutamente necessaria una vita tranquilla e regolata [...]. Se, diciamo, non dovessi più dipingere, che cosa potrei fare? Eh, bisognerebbe inventare un processo pittorico più veloce, meno costoso di quello all'olio, e ugualmente duraturo. Un quadro... Finirà col diventare banale come un discorso, e un pittore un essere in arretrato di un secolo. Eppure è un peccato che sia così. [...] E ora andrò all'attacco dei cipressi e della montagna. [...]
Il 27 luglio dell'anno successivo, dopo aver spedito al fratello Theo ancora tante lettere che parlavano della sua pittura, del colore, del suo male, della vita e della morte, Van Gogh si spara una revolverata. In un biglietto, trovato nella sua stanza, lascia scritto: ''l'ho fatto per il bene di tutti, ho mancato il colpo ancora una volta''.