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Il 41-bis non fa più paura ai boss

Negli ultimi sei mesi 37 'padrini' hanno vinto la loro battaglia contro il regime di carcere duro

07 luglio 2008

"La 41 bis è una norma intrisa del sangue e dell'intelligenza di due grandi magistrati come Falcone e Borsellino, ma nel corso degli anni ha subito un sostanziale depotenziamento [...] Certamente serve un aggiornamento sulla base delle esperienze acquisite e dei mutamenti avvenuti in questi anni. La procura generale di Torino ha sempre ricorso contro le revoche del 41 bis perché sappiamo tutti che i mafiosi non pentiti in carcere continuano ad avere rapporti strettissimi, a volte anche di comando, con l'esterno".
Queste le parole del procuratore generale della Procura di Torino, Giancarlo Caselli che, intervistato da Sky Tg24, ha commentato la lunga lista di annullamenti di 41 bis ad una serie di mafiosi.
Una circostanza venuta alla luce la scorsa settimana, quando il giudice del Tribunale di sorveglianza di Torino ha revocato il carcere duro per il boss mafioso stragista, Nino Madonia. Il capomafia di Palermo ha impugnato la nuova norma sul carcere duro e i magistrati piemontesi, competenti per territorio perché il detenuto è a Novara, l'hanno accolta [Leggi "Niente 41 bis al capomafia stragista Nino Madonia" (Guidasicilia.it, 03/07/08)].

Negli ultimi sei mesi sono stati trentasette i padrini che hanno lasciato "i gironi del 41 bis". I boss mafiosi "sono tornati detenuti comuni, nonostante le condanne all'ergastolo e i misteri che ancora custodiscono".
Niente più carcere duro per Giuseppe La Mattina, uno dei mafiosi che uccise il giudice Paolo Borsellino, né per Giuseppe Barranca e Gioacchino Calabrò, che si occuparono degli eccidi del 1993, fra Roma, Milano e Firenze. Annullato il 41bis ai quattro capi storici della 'ndrangheta calabrese Carmine De Stefano, Francesco Perna, Gianfranco Ruà e Santo Araniti, il mandante dell'omicidio Ligato e per il boss della camorra Salvatore Luigi Graziano.

Come ha spiegato il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, "il 41 bis non è più quell'isolamento pressoché assoluto che era stato previsto nella legge varata dopo le stragi Falcone e Borsellino. I ripetuti interventi della Corte Costituzionale, a cui si è necessariamente adeguato il legislatore, hanno attenuato quel regime di isolamento".
Ma cosa c'è che non va nella norma del 41 bis? Il problema sta tutto in un paradosso proprio della norma: il regime di carcere duro si può applicare a quei detenuti i quali si sospetta possano mantere rapporti con l'esterno, anche se in regime di detenzione. Con il 41 bis, questi vengono sottoposti ad  un assoluto isolamento e ad una sorveglianza continua. A questo punto scatta la cotraddizione: per rinnovare il regime di carcere duro ad un detenuto si deve appurare che questo sia stato, per un tot numero di mesi, assolutamente isolato ed impossibilitato ad aver rapporti con l'esterno, come dire appurare se il 41 bis ha funzionato. Se questo ha funzionato, la norma può essere impugnata dai legali del detenutio perché andrebbe contro quei diritti costituzionali in difesa della persona. Al contrario, se durante il 41 bis si scopre che il detenuto ha avuto in qualche maniera contatto con l'esterno, quindi, se si viene a sapere che, sostanzialemnte, il regime carcerario duro non ha funzionato, questo può essere rinnovato.
[L'Articolo 41 bis (Wikipedia)]

Tale controsenso fa ben capire per quale motivo il procuratore Caselli è convito che l'unica soluzione sia nella riforma della norma. A questo proposito in un documento stilato dall'Associazione Giuristi democratici si legge: "In nessun caso le limitazioni all'ordinario regime carcerario possono avere scopo diverso da quello di tipo preventivo, e meno che mai costituire strumento di aggressione alla integrità psico-fisica del detenuto per ottenere confessioni o collaborazioni, di talché ogni applicazione pratica delle limitazioni previste dall'art. 41 bis peraltro oggi codificate, volte esclusivamente a fiaccare la resistenza del detenuto e a rendere ingiustificatamente più duro, ma non per questo più sicuro, il carcere, deve essere considerata illegittima. A maggior ragione ciò risulta grave se applicato nei confronti di categorie, quali gli oppositori sociali e politici che, per la ricordata indeterminatezza dell'art. 270 bis c.p., possono trovarsi a subire le suddette restrizioni, senza alcuna effettiva ragione di sicurezza".

La necessità di una riforma del 41 bis viene riconosciuta anche da parte dell'attuale maggioranza. "Quella del carcere duro, del 41 bis rigoroso ed efficace è un'emergenza urgente da affrontare se vogliamo davvero sconfiggere la mafia. Penso che in Parlamento si possa trovare un'intesa ampia e condivisa tra maggioranza ed opposizione per migliorare la normativa", ha affermato anche Carlo Vizzini del Pdl. "Nel 2002 introducemmo la stabilizzazione del regime carcerario insieme ad un nuovo rigore, fiaccato nel tempo da interpretazioni eccessivamente garantiste da parte dei tribunali di sorveglianza (37 annullamenti in 6 mesi). Il ministro Alfano lavora egregiamente esaminando e firmando con riserbo e rigore le nuove applicazioni, ma la normativa va resa più esplicita soprattutto sull'onere della prova della pericolosità dei detenuti. Carcere duro efficace e confisca dei patrimoni aggiunti all'azione di magistrati e forza dell'ordine - conclude - sono gli elementi per una vittoria contro le mafie oggi possibile".
A scandalizzarsi sono invece i familiari delle vittime. Soprattutto per gli annullamenti del carcere duro. "Siamo allo scandalo allo stato puro: sono anni che lanciamo allarmi contro l'abolizione del 41 bis, non è importato niente a nessuno delle stragi del 1993 in questo maledetto Paese le hanno volute tutti quanti". E' il j'accuse di Maggiani Chelli dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili sul passaggio di numerosi boss mafiosi dal regime carcerario previsto dall'art.41 bis a quello di detenuti comuni. "Il passaggio da 41 bis a carcere normale di Gioachino Calabrò - afferma Maggiani Chelli - che diede ordine a Giuseppe Ferro Capo Mandamento di Alcamo di andare a Prato dal cognato Messana, di far preparare nel suo garage il pulmino imbottino di 300 chili di tritolo per portalo poi in via dei Georgofili, non lo capiremo mai". "Agiremo come meglio riterremmo opportuno, anche con la protesta di piazza - conclude - se nelle prossime ore non avremmo chiari segnali che il Governo sta prendendo provvedimenti sul fronte del 41 bis per i mafiosi rei di strage". [Informazioni tratte da RaiNews24, l'Unità, Adnkronos]

COSI' I BOSS SI LIBERANO DEL 41 BIS
di Salvo Palazzolo (la Repubblica, 6 luglio 2008)
E' vuota la cella al 41 bis di Giuseppe La Mattina, uno dei mafiosi che uccise il giudice Paolo Borsellino. Sono rimaste libere anche le celle di Giuseppe Barranca e Gioacchino Calabrò, che si occuparono degli eccidi del 1993, fra Roma, Milano e Firenze. Nei raggi del carcere duro non ci sono più quattro capi storici della 'ndrangheta calabrese: Carmine De Stefano, Francesco Perna, Gianfranco Ruà e Santo Araniti, il mandante dell'omicidio Ligato. E neanche il boss della camorra Salvatore Luigi Graziano.
Negli ultimi sei mesi, trentasette padrini hanno lasciato i gironi del 41 bis. I padrini delle mafie hanno vinto, in gran silenzio, la loro battaglia legale nei tribunali di sorveglianza di mezza Italia. E così, sono tornati detenuti comuni, nonostante le condanne all'ergastolo e i misteri che ancora custodiscono. Al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e alle Direzioni distrettuali antimafia non è rimasto che prendere atto della lista degli annullamenti del 41 bis, che ogni giorno di più si allunga. L'ultimo provvedimento, pochi giorni fa, ha riguardato Antonino Madonia, il capofamiglia di Palermo Resuttana che in gioventù assassinò, fra tanti, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il commissario Ninni Cassarà.

Ecco la lista di chi non è più al carcere duro. C'è Raffaele Galatolo, capo storico della famiglia palermitana dell'Acquasanta, condannato all'ergastolo. C'è Arcangelo Piromalli, da Gioia Tauro. E poi, Costantino Sarno: a Napoli, lo chiamavano il re del contrabbando, ma lui preferiva starsene in Montenegro. Nella lista del carcere duro bocciato figurano quattordici mafiosi, 13 ndranghetisti, 8 camorristi, 2 rappresentanti della sacra corona unita pugliese. Per adesso è il 6,5 per cento del popolo del 41 bis, 566 reclusi in dodici istituti penitenziari, da Roma Rebibbia a Tolmezzo, passando per Viterbo, Ascoli, L'Aquila, Terni, Spoleto, Parma, Reggio Emilia, Milano, Novara e Cuneo. Gli annullamenti del 41 bis portano la firma di molti tribunali di sorveglianza, da Napoli a Torino. Ma la motivazione è sempre la stessa: "Non è dimostrata la persistente capacità del detenuto di mantenere tuttora contatti con l'associazione criminale di appartenenza".

Dice Giuseppe Lumia, senatore dei Ds ed ex presidente della commissione parlamentare antimafia: "La modifica della legge sul carcere duro è ormai una priorità. Vanno cambiati i criteri per l'assegnazione, agganciandoli esclusivamente alla pericolosità del detenuto, conme fosse una misura di prevenzione".
Il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, spiega che "il 41 bis non è più quell'isolamento pressoché assoluto che era stato previsto nella legge varata dopo le stragi Falcone e Borsellino. I ripetuti interventi della Corte Costituzionale, a cui si è necessariamente adeguato il legislatore, hanno attenuato quel regime di isolamento". La preoccupazione dei capimafia resta sempre la stessa: "Inchieste e processi in svariate parti d'Italia - prosegue Pignatone - l'hanno dimostrato, i detenuti al 41 bis riescono a mantenere contatti con l'esterno, questione vitale per le organizzazioni criminali". Intercettazioni, anche recenti, hanno ribadito: accanto alle grandi strategie, i boss hanno scelto di proseguire in silenzio la loro battaglia contro il 41 bis.
Sommergendo di ricorsi i tribunali di sorveglianza. E qualche risultato sembra essere arrivato. Anche il procuratore di Reggio Calabria auspica "un intervento chiarificatore del legislatore, per mettere ordine ai contrasti giurisprudenziali che si verificano tra i vari tribunali di sorveglianza".

Il record di annullamenti spetta al tribunale di Torino (10). Seguono Perugia (9), Roma (8), L'Aquila (5), Bologna (3), Napoli (2), Ancona (1).
Dice ancora il procuratore Pignatone: "La legge sul 41 bis è stata modificata nel 2002, in modo più rigoroso. Ma, evidentemente, sono necessari altri interventi". Lumia sollecita il ministro della Giustizia: "Presenterò un'interrogazione - annuncia - dopo il caso Madonia nessuna risposta è ancora arrivata dal Guardasigilli Angelino Alfano. La questione è urgente. Oggi, nelle carceri è ristretto il gotha delle mafie: va tenuto sotto controllo in modo adeguato, perché quel gruppo elabora ancora strategie, ricatta le istituzioni e mantiene soprattutto i contatti con l'esterno. L'obiettivo di quel gotha resta l'allentamento del regime del carcere duro, ma anche la revisione dei processi".

- Il 41 bis viola la convenzione Onu (Guidasicilia.it, 16/10/07)

 

 

 

 

 

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07 luglio 2008
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