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Il 41 bis viola la convenzione Onu

Un giudice californiano ha bloccato l'estradizione in Italia, per un esponente di spicco del clan Gambino

16 ottobre 2007

Ritenuto esponente di spicco di uno dei clan di Cosa Nostra più pericolosi di New York,  la ''Famiglia Gambino'', legata strettamente con la mafia corleonese, la giustizia italiana ha formulato una richiesta di estradizione agli Stati Uniti per Rosario Gambino.
Gambino ha scontato 22 anni di reclusione per traffico di droga e si trova attualmente in un centro di detenzione per immigrati a San Pedro, in California, dove è stato trasferito in seguito alla richiesta di estradizione italiana.
Un giudice di Los Angeles ha però negato all'Italia l'estradizione del mafioso, sostenendo che il regime di detenzione 41bis - a cui sarebbe con ogni probabilità destinato in Italia - equivale a una forma di tortura e viola la convenzione dell'Onu in materia.
Ebbene sì, per un giudice degli Stati Uniti, Paese che ha trasferito terroristi in Paesi dove sono stati sottoposti a torture e hanno costruito la prigione speciale di Guantanamo, o le prigioni soprannominate ''Supermax'', carceri che sono come tombe, senza contare la lunga lista di pene capitali eseguite, condannare un boss mafioso al regime di carcere duro, previsto dall'articolo 41 bis del codice italiano, equivale condannare un uomo alla tortura.

In una sentenza che risale all'11 settembre scorso, ma di cui emerge solo ora l'esistenza, il giudice federale D.D. Sitgraves ha accolto il ricorso del difensore di Gambino, Joseph Sandoval, secondo il quale bloccare questa estradizione non è altro che ''una questione umanitaria'', perché se il presunto mafioso entrasse nel sistema del 41 bis italiano ''sarebbe in condizioni che ne minaccerebbero la vita''.
Il giudice Sitgraves è stato d'accordo con quanto mosso dal difensore di Gambino e ha affermato che il sistema carcerario italiano per i boss mafiosi ha caratteristiche ''che costituiscono una forma di tortura'' e violano la convenzione delle Nazioni Unite.
Soddisfatto, o meglio, galvanizzato dal successo, il legale di Gambino ha chiesto che il suo assistito sia rilasciato.
Contro la  richiesta di liberazione si è pronunciato l'Ufficio Immigrazione: ''Gambino rappresenta una minaccia alla comunità''. Parole che il presunto boss respinge sostenendo che i suoi guai sono legati solo al nome che porta. In realtà le carte giudiziarie raccontano una storia diversa. ''E' un membro importante di Cosa nostra'', precisa Luigi Rinella, funzionario della polizia italiana che mantiene i collegamenti con l'Fbi.

Cugini del più celebre Carlo Gambino, Rosario e i suoi fratelli John e Giuseppe, sono conosciuti come ''i tre di Cherry Hill''. Arrivati dalla Sicilia a metà degli anni '60, i Gambino sono diventati le figure centrali del narcotraffico. Facevano arrivare gli stupefacenti nascosti nel borotalco come nelle cassette di profumati limoni siciliani. Per anni i federali hanno raccolto prove per chiudere il cerchio sulla famiglia di Cherry Hill. Riempiendo di microspie i ristoranti frequentati dal clan, tenendo d'occhio le pizzerie che i tre gestivano sulla costa Est. Protetti da buoni avvocati, i Gambino sono sfuggiti più volte alla condanna grazie ''alla mancanza di prove''.
Quando, nel 1979, Michele Sindona è negli Stati Uniti trova una sponda nei Gambino. E' John ad accompagnarlo nel viaggio in Sicilia ed è Rosario ad accoglierlo al suo rientro all'aeroporto Kennedy di New York. Due angeli custodi neri per l'intrigante banchiere. Passano gli anni - siamo tra il 1996 e il 1999 - Rosario è in una prigione statunitense e cerca di ottenere uno sconto di pena. Attraverso un intermediario contatta il fratellastro di Bill Clinton, Roger. In almeno quattro occasioni quest'ultimo ''visita'' gli uffici giudiziari per sondare la possibilità di un rilascio sulla parola di Gambino. Un intervento non gratuito. La stampa americana rivelerà l'esistenza di doni costosi. Regali che però non anticiperanno l'apertura della cella. Adesso Gambino ha ingaggiato la seconda battaglia. Il suo avvocato è riuscito a far testimoniare un ex agente dell'Fbi che ha confermato la possibilità dell'applicazione del 41 bis. Lo useranno, ha detto, per ottenere informazioni su Cosa nostra. Il premio Nobel Cherif Bassiouni, grande esperto di diritto internazionale, ha condiviso le preoccupazioni per ''le pressioni fisiche e psicologiche''. Un medico ha certificato le precarie condizioni di salute di Gambino che potrebbero peggiorare con il severo regime carcerario. Rilievi respinti da Luigi Rinella: ''In Italia non c'è tortura''. [citazione da un articolo di Guido Olimpo (Corriere.it, 16/10/07)]

Ettore Ferrara, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), non ha mostrato particolari preoccupazioni per la decisione del giudice di Los Angeles. ''La legittimità dell'impianto del 41 bis è garantita dalla Corte Costituzionale che in proposito si è già pronunciata. Noi siamo sereni ed andiamo avanti per la nostra strada''. ''Ogni ordinamento risponde ai principi ai quali si ispira - afferma Ferrara -. La gestione delle carceri negli Stati Uniti è senz'altro una realtà estranea alla nostra cultura: loro hanno privatizzato gli istituti penitenziari per cui i possidenti si possono permettere le carceri a pagamento, mentre i poveri cristi vanno in ben altre strutture. A mio avviso questo sistema, con regole di trattamento diverso in funzione della capacità del reddito di ciascun detenuto, non è conforme ai nostri principi costituzionali''.
Certo, la decisione del giudice di Los Angeles può rappresentare un pericoloso precedente o fare da apripista per il rigetto di altre domande di estradizione. ''Se a livello europeo dovesse essere validamente sostenuto che il 41 bis viola una normativa internazionale - ha aggiunto infatti Ferrara -, allora qualche problema si porrebbe. Ma allo stato attuale la decisione Usa che sembra equiparare il cosiddetto 'carcere duro' alla tortura non mi pare che giustifichi particolare preoccupazione''.
Non si è fatto attendere il commento del ministro della Giustizia Clemente Mastella: ''Ricordo che c'è una legittimazione del Parlamento italiano per il '41 bis' - ha detto il Guardasigilli -. Mi sincererò attraverso l'ambasciata e attraverso gli uffici del mio ministero per vedere se è questa la sua risposta, che mi sembra francamente un po' eclatante. Poi, francamente, che venga da un giudice di un Paese come gli Stati Uniti, che pur rispetto, ma che applica la pena di morte... non so davvero se sia più linea con le norme Onu chi applica la pena di morte o il Paese che utilizza il carcere duro''.

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16 ottobre 2007
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