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Il boss Bernardo Provenzano poteva essere arrestato nel 1995, tredici anni prima dalla sua cattura

15 aprile 2008

Il gup Mario Conte ha rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato dall'aver agevolato Cosa nostra il colonnello Mauro Obinu e il generale Mario Mori - ex direttore del Sisde - nell'ambito della mancata cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano nel 1995 a Mezzojuso, nel Palermitano.
Il processo comincerà il 18 giugno davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Palermo.

Secondo la ricostruzione, i due imputati - che all'epoca dei fatti avevano incarichi operativi, Mori da vicecomandante del Ros e Obinu da comandante del reparto criminalità organizzata del Ros - pur essendo stati informati dal carabiniere Michele Riccio che Provenzano si sarebbe riunito con altri boss in un casale di Mezzojuso, non autorizzarono il blitz.
Mori era già stato processato con l'accusa di favoreggiamento aggravato di Cosa nostra insieme al tenente colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo, alla guida della squadra di carabinieri che arrestò Riina. I due, imputati per la mancata perquisizione del covo del boss Totò Riina dopo il suo arresto il 15 gennaio 1993, furono entrambi assolti nel 2005.

"Favorì Provenzano" Mori sarà processato
di Alessandra Ziniti (Repubblica.it, 15 aprile 2008)

Il pentito Antonino Giuffrè se lo ricorda benissimo: nel 1995 Bernardo Provenzano si vedeva spesso a Mezzojuso, piccolo centro arroccato sulle colline tra Palermo ed Agrigento. Lui stesso lo incontrò più volte insieme ad un altro boss di prima grandezza, Benedetto Spera, in una masseria di campagna, probabilmente quella stessa nella quale il 31 ottobre di quell'anno i carabinieri del Ros avrebbero potuto già catturare il capomafia latitante se solo avessero dato retta alle confidenze del pentito catanese Luigi Ilardo, poi ucciso poco dopo, che da qualche settimana parlava con il colonnello Michele Riccio.
Ma quel blitz, che pure Riccio sollecitò caldamente in una riunione a Roma, non si fece mai. "Non ci sono uomini e mezzi attualmente, provvederemo poi noi", avrebbero risposto l'allora vicecomandante del Reparto operativo Mario Mori e il comandante del reparto criminalità organizzata Mauro Obinu. E a Mezzojuso arrivarono solo otto carabinieri che si limitarono a fotografare quel casolare che, con tutta probabilità, Provenzano utilizzava per i suoi summit.

Una decisione che, tredici anni dopo e nonostante un'iniziale richiesta di archiviazione respinta dal gip, è costata al prefetto Mori e al colonnello Obinu un rinvio a giudizio per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Perché quel "rifiuto" arrivato dai vertici del Ros, secondo il gup di Palermo Mario Conte, fu un modo per aiutare il boss corleonese a sottrarsi alla cattura per qualche patto scellerato non ancora chiarito ma probabilmente della stessa natura di quello che sarebbe stato alla base della mancata perquisizione del covo di Totò Riina appena tre anni prima. Un'accusa, quest'ultima, per la quale Mori, insieme al capitano "Ultimo" (l'uomo che catturò Riina) ha già subito un processo finito con l'assoluzione.
Dal 18 giugno prossimo l'ex direttore del Sisde sarà di nuovo alla sbarra davanti ai giudici del tribunale di Palermo per un processo che cercherà di far luce sui tanti misteri e sulle coperture che per più di trent'anni hanno consentito a Bernardo Provenzano, poi catturato nell'aprile del 2006 a Corleone, di sottrarsi alla cattura.

Ieri, presente all'udienza preliminare, Mori ha lasciato il Palazzo di giustizia di Palermo senza dire una parola. Per lui e per il colonnello Obinu hanno parlato i difensori, gli avvocati Piero Milio ed Enzo Musco: "Prendiamo atto del rinvio a giudizio del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu con la certezza di poter fare emergere nel processo l'inconsistenza della tardiva accusa proveniente da un soggetto riconosciuto mentitore da diverse autorità giudiziarie del Paese e, quindi, l'assoluta estraneità degli ufficiali del Ros agli addebiti contestati già evidente sin dall'inizio".
Il riferimento dei legali è al principale teste dell'accusa, il colonnello Michele Riccio, sotto processo a Genova per avere condotto in maniera molto spregiudicata un'indagine su un traffico di droga, che - a loro dire - si sarebbe voluto vendicare dei colleghi che non lo avrebbero "coperto". Parole alle quali il pm Nino Di Matteo ha replicato sostenendo che non è Riccio il dato fondamentale del processo ma quello che è risultato dalle indagini condotte da altri carabinieri.

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15 aprile 2008
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