Il candidato con il conflitto d'interessi sul Ponte
Tanto più che dall'altra parte i partiti della Cdl avevano avuto al proporzionale il 66% schierando il presidente della provincia Giuseppe Buzzanca. Il quale, dopo essersela giocata promuovendo un concorso preso d'assalto da 25 mila giovani (concorso poi annullato: i 150 posti c'erano solo a fini elettorali) fu azzoppato appena eletto da una condanna per essersi fatto accompagnare in viaggio di nozze dall'autoblu. ''Un danno di 52 euro!'', s'indigna Domenico Nania, l'uomo forte di An in città, ''ammesso che avesse torto (e non l'aveva) hanno fatto fuori un galantuomo per 52 euro!''. E spiega che è stata ''una congiura'' delle sinistre con ''sentenze emesse da un pezzo di magistratura politicizzata'' come quella della Cassazione dove stava appunto ''l'ex sindaco di sinistra Franco Providenti''. Che ribatte: ''Mi meraviglio che un avvocato come lui sia così ignorante. La V sezione penale, la mia, non c'entra un fico secco con la I civile che fece quella sentenza. Manco li conosco, quei giudici!''.
Fatto sta che di ricorso in ricorso (con l'aggiunta di una leggina varata dal Consiglio dei ministri detta ''ad Buzzancam'') il sindaco decaduto ma irremovibile ha lasciato senza governo la grande città siciliana per oltre due anni. ''Due anni e mezzo in ostaggio di una impuntatura di An!'', tuona l'architetto Cesare Fulci, fratello dell'ambasciatore e autore di progetti per il recupero del centro storico ''oltre'' il ponte, ''due anni e mezzo col commissario!''.
Commissario che, tra parentesi, si chiama Bruno Sbordone, vien giù ogni settimana un paio di giorni dal Friuli, ha costretto i partiti a ridurre a sei i 14 consigli di quartiere (quattordici! con 15 membri l'uno pagato 500 euro al mese!) e per il resto ha praticamente lasciato tutto in mano al city manager. Cioè a Gianfranco Scoglio, un giovanottone espansivo di due metri che ha cercato di mandare avanti la baracca con un occhio alla città e uno alla bottega, quella An di cui era stato assessore.
E siamo al punto. Sarà colpa di Buzzanca troppo imbullonato alla sedia, delle difficoltà del berlusconismo, del crollo di An al di là dello Stretto o sarà per colpa delle discariche sulla spiaggia o di una gestione così clientelare che si sono inventati per i pizzardoni la qualifica di ''Specialisti Evoluti di Vigilanza della Polizia Municipale'', fatto sta che la Cdl è nei guai. Al punto che un sondaggio interno, spiega Scoglio, ''dà i minori al 5%, Forza Italia tra il 7 e il 10%, An al 14 e l'Udc al 20%''. Totale: 49%. Diciassette punti in meno che nel 2003.
È lì che Gianpiero D'Alia, sottosegretario agli Interni figlio del non meno potente Totò, ha alzato il dito: ''Non possiamo perdere una città di centrodestra come questa. Ci vuole una svolta''. E ha chiesto che il candidato non sia di An. ''Figurarsi se possiamo accettare un veto!'', risponde Scoglio. ''Nessun veto', spiega D'Alia: ''Facciamo le primarie. Se vince uno di An, prego''. Fermo restando, dice, che sarebbe meglio aggirare certe ostilità candidando, se non un uomo dell'Udc, uno di Forza Italia.
Come il deputato Francesco Stagno d'Alcontres, cugino di Antonio Martino. O il suo collega Nino Gazzara, un tipo mite così poco disponibile a fare '' 'u bummacaru'' (il gradasso) sui problemi da dire che ''Messina, chiunque vinca, ha bisogno della buona volontà di tutti. Bisognerebbe fissare due o tre punti. Per realizzarli insieme''. Idea condivisa, sull'altra sponda, da Giovanni Mollica, del movimento Rinascita per Messina: ''Va così male che ci vorrebbe un governo di salute pubblica''.
Primo punto, il ponte? Per niente. Un po' perché mezza città (a nord) è contro, un po' perché la gente sbuffa per come la ''Stretto di Messina Spa'' ha gestito finora le cose in modo così coloniale ''che ha oltre 80 dipendenti a Roma e solo 2 qui'', un po' perché anche l'Arcivescovo ne fa un discorso di priorità mettendo davanti il recupero di quartieri sgarruppati come Mare Grosso, delle baracche dove ancora vive gente 97 anni dopo il terremoto o l'interramento dei binari che separano Messina dal suo mare, fatto sta che a destra di entusiasti come Berlusconi non ce n'è uno.
Quanto all'Unione, è tutta, compatta, contro ''questo'' ponte. Solo che, prima che si facesse strada l'idea di insistere su Saitta, Francantonio Genovese, giovane avvocato silenzioso e calvo che dimostra venti anni più dei 36 anagrafici, ha detto: ''Lo faccio io''. E lì si è aperto il dibattito: come dire di no al capo della Margherita? Al figlio di Luigi Genovese, sei volte senatore Dc? Al nipote di quel Nino Gullotti otto volte ministro che per Gianpaolo Pansa ''possedeva il 41% di tutte le tessere bianche di Sicilia''? All'erede della ragnatela di contatti di un satrapo fortissimo perché, dice il nipote, ''non aveva avversari dato che teneva tutto insieme e riusciva ad accontentare tutti''?
Certo è che a sinistra, al di là delle virtù del cavallo scelto, i mal di pancia sono tanti. Anche se Saitta, ''per un dovere verso Messina'', ha mandato giù il rospo accettando di fare un ticket col rivale. Anche se ''forse è la volta buona che la destra cade''.
Ma che sarà della battaglia contro il Ponte? Come potranno essere respinte le accuse di un conflitto di interessi visto che Genovese è così legato ai Franza da esser soprannominato ''Franzantonio''?
Gian Antonio Stella (Corriere.it, 03 ottobre 2005)