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Il cane giallo della Mongolia

La magica storia della piccola Nansal e del suo cucciolo di cane Zocher

03 maggio 2006


 







Noi vi segnaliamo...
IL CANE GIALLO DELLA MONGOLIA
di Byambasuren Davaa
 
Uno spaccato della vita di una famiglia nomade che vive in una remota regione della Mongolia. Il film trae spunto da un episodio che ha come protagonista Nansal, un bambina che trova un cucciolo di cane cui dà il nome di Zocher e che la sua famiglia inizialmente rifiuta. Quando il piccolo cane salva la vita del fratello minore di Nansal, il padre e la madre della bambina accettano di buon cuore il valoroso cagnolino.
Negli sconfinati spazi del paesaggio mongolo, la famiglia composta da cinque persone conduce una vita lontana dalla civilizzazione. Secondo l'antica tradizione vive dell'allevamento delle pecore, in piena armonia con la natura. 


Distribuzione Bim
Durata 93'
Regia Byambasuren Davaa
Con Babbayar Batchuluun, Nansal Batchuluun, Nansalmaa Batchuluun
Genere Documentario


Le recensioni

Tra etica e antropologia, una docu-fiction per riflettere su tradizione e modernità. Ma la regia difetta di stile.
di Massimo Monteleone (Cinematografo.it)

Lassù, sulle montagne della Mongolia, il tempo sembra essersi fermato a secoli fa, all'esistenza semplice dei pastori nomadi, in accordo coi cicli della natura, e con fedeltà alle tradizioni orali e religiose (buddiste). Solo la motocicletta, che papà Batchuluun usa per raggiungere la città, rivela il tempo presente. E' estate. I suoi tre bambini partecipano al lavoro quotidiano col gregge, assieme alla mamma. Questa vera famiglia nomade è stata scelta da Byambasuren Davaa (una regista mongola cresciuta nelle scuole di cinema tedesche) per girare Il cane giallo della Mongolia. E' una "docu-fiction" che intreccia realtà e leggenda, documento etno-antropologico e racconto etico, antiche credenze (reincarnazione, rituali contadini) e attuali problemi della Mongolia (il passaggio dal nomadismo all'urbanizzazione). La sequenza insieme verista e simbolica, che esprime lo "smantellamento" della cultura nomade da parte della modernità, è quella della famigliola che smonta la tenda-abitazione per trasferirsi altrove. L'elemento esterno che però penetra nel nucleo familiare è un cagnolino, trovato in una grotta dalla bimba più grande, Nansal (6 anni). “Macchia” diventa suo compagno di giochi. Ma il padre non vuole che resti, teme che attiri i lupi a straziare le pecore. Nonostante il divieto, la bambina lo tiene di nascosto. La presenza dell'animale si ricollega alla “favola del cane giallo” che l'anziana della steppa racconta alla piccola. Mito ed esperienza reale quasi si confondono nella sensibilità infantile. Ma se il cane della leggenda scompare per “reincarnarsi” in un neonato, “Macchia” salva infine il fratellino di Nansal dagli avvoltoi, guadagnandosi l'accoglienza del capofamiglia.
Dal punto di vista cinematografico, se da una parte la spontaneità dei protagonisti non ha bisogno di artifici (e le facce dei bambini si fanno contemplare con stupore), il ritmo e lo stile dell'autrice, documentarista per vocazione, appaiono un po' statici e poco coinvolgenti. Dato che non si tratta di una puntata di “Quark”, forse la regia poteva inventare qualcosa di più.


Il cane giallo della Mongolia
di Valentina Pieraccini (Filmup.com)

Le sconfinate steppe mongole, un cielo azzurro velato di nubi che sembra non aver fine e soprattutto, non sentire lo scorrere del tempo. In questo scenario immutabile si muovono ancora famiglie nomadi dedite alla pastorizia e alla cura del bestiame in totale coesione con la natura; ed è in questo scenario che Byambasuren Davaa (ricordate la sorpresa all'Oscar de "La storia del cammello che piange"?), ha deciso di ambientare quello che avrebbe dovuto essere un semplice compito per diplomarsi in storia del cinema a Berlino.
Tra documentario e finzione, facciamo conoscenza della giovane famiglia Barchuuluun, la seguiamo assieme ad una troupe quasi interamente tedesca sul finire dell'estate, entriamo nelle meccaniche, nei ritmi, nelle loro abitudini per prendere atto di un'altra realtà. Senza volontà di giudizio se non quella di cronaca, la regista introduce il problema della modernità, del cambiamento che presto o tardi tocca tutti, anche nei luoghi che pensiamo più remoti. Un mestolo di plastica gialla, un peluche fucsia, i primi segni di quello che è il contatto inevitabile tra la cultura cittadina e quella contadina.
Il cane giallo del titolo altri non è che una fiaba mongola, una leggenda, in cui una giovane ragazza guarirà dalla malattia solo dopo aver trovato l'amore e abbandonato il proprio cane.
Qui invece, la più grande delle figlie trova un cane in una grotta decidendo di adottarlo per renderlo il migliore dei propri amici. Ironia della sorte sarà proprio lui a salvare l'equilibrio dell'intera famiglia.
La modernizzazione non è l'unico tema della pellicola, ogni fotogramma è pervaso di una profonda spiritualità, cercata forzatamente o naturale che sia. I riti di ringraziamento alla natura benevola, le statue del Buddha, fino ai problemi della caccia ai lupi. Tutto è intriso d'un incanto naturale in cui un temporale può intrattenere come un concerto e la memoria va preservata ad ogni costo.
Solo in chiusura vediamo allontanarsi la carovana dedita all'ennesimo spostamento e avvicinarsi una macchina, intenta a sponsorizzare le prossime elezioni e l'importanza di partecipare alla vita cittadina.

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03 maggio 2006
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