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Il Capo dello Stato non ha nulla da dire

Processo Stato-Mafia. Il presidente Giorgio Napolitano: "Nulla da riferire al processo"

25 novembre 2013

"Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire".
È un passaggio della lettera inviata dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il 31 ottobre al presidente della Corte d’assise di Palermo, Alfredo Montalto, che sta celebrando il processo sulla trattativa Stato-mafia. "L’essenziale è il non avere io in alcun modo ricevuto dal dottor D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione circa le "ipotesi", solo "ipotesi" da lui enucleate".
Napolitano, su richiesta della Procura di Palermo, era stato citato come teste per riferire di una lettera ricevuta dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio. La lettera del capo dello Stato è stata depositata dal presidente della Corte questa mattina.

Nella missiva del 18 giugno 2012, D’Ambrosio accennava a "episodi del periodo 1989-1993" e manifestava il suo "timore di essere stato considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi". Poco più di un mese dopo (il 26 luglio del 2012), nel pieno delle polemiche sulla trattativa- Stato-mafia, D’Ambrosio morì.
"Dei problemi relativi alle modalità dell’eventuale mia testimonianza - aggiunge il presidente della Repubblica - la corte da lei presieduta è peraltro certamente consapevole come ha, nell’ordinanza del 17 ottobre, dimostrato di esserlo, dei "limiti contenutistici" da osservare ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012". "Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di poter fare se davvero ne avessi da riferire e tenderei a fare anche indipendentemente dalle riserve espresse dai miei predecessori Cossiga e Scalfaro, sulla costituzionalità della norma di cui all'articolo 205 del codice di procedura penale".

Napolitano esclude dunque di aver avuto indicazioni dal suo ex consigliere giuridico anche sul "vivo timore" a cui questi "ha fatto - scrive ancora il presidente della Repubblica - il generico riferimento nella drammatica lettera del 18 giugno".
Proprio sulla missiva ricevuta da D’Ambrosio, finito nelle polemiche per alcune sue conversazioni intercettate con l’ex ministro Nicola Mancino, è stato chiamato a deporre il capo dello Stato. "Né io avevo modo e motivo, neppure riservatamente - precisa Napolitano - di interrogarlo su quel passaggio della sua lettera. Né mai, data la natura dell’ufficio ricoperto dal dottor D’Ambrosio durante il mio mandato, come anche durante il mandato del presidente Ciampi, ebbi occasione di intrattenermi con lui su vicende del passato, relative ad anni nei quali non lo conoscevo ed esercitavo funzioni pubbliche del tutto estranee a qualsiasi responsabilità di elaborazione e gestione di normative antimafie".

Il testo integrale della lettera di Napolitano alla Corte
Signor Presidente, la Corte da Lei presieduta - esercitando la facoltà attribuitale dal vigente art. 205, comma primo, del codice di procedura penale - ha deciso con ordinanza del 17 ottobre, di ammettere, nei limiti che la stessa ordinanza indica, la testimonianza del sottoscritto Presidente della Repubblica richiesta dal pm.

"Ritengo in proposito doveroso farle presenti le seguenti circostanze: a) la lettera indirizzatami il 18 giugno 2012 dal dottor Loris D'Ambrosio, con la quale egli volle rimettermi l'incarico (da me conferitogli il 18 maggio 2006) di consigliere per gli Affari dell'Amministrazione della giustizia, è stata, per mia libera iniziativa, pubblicata nella raccolta di miei interventi del periodo 2006-2012 "Sulla giustizia". Quella mia iniziativa, di certo non dovuta, corrispose a un intento di massima trasparenza nel documentare e onorare il travaglio umano e morale del consigliere D'Ambrosio, provocato dalla diffusione, sulla stampa, di testi registrati (non si sa quanto correttamente e integralmente riprodotti) di conversazioni con il senatore Mancino, intercettate dalla Procura di Palermo, e da cui venivano ricavati elementi di grave sospetto su comportamenti tenuti dal mio collaboratore"; b) Quella lettera era caratterizzata da profonda 'amarezza e sgomento' e direi anche indignazione per interpretazioni (dello scambio di telefonate con il senatore Mancino) e più in generali, arbitrarie insinuazioni che colpivano la costante linearità della condotta tenuta dal dottore D'Ambrosio, in modo particolare rispetto all'impegno dello Stato nella lotta contro la mafia; c) Il giorno seguente, 19 giugno 2012, lo invitai nel mio studio - alla presenza del segretario generale della Presidenza della Repubblica - per tentare di rasserenarlo, e per confermargli stima e fiducia e farlo anche per iscritto, consegnandogli la lettera (inserita poi a sua volta nella pubblicazione da me già ricordata - con la quale lo invitavo a mantenere l'incarico di mio consigliere; d) Per quel che riguarda il passaggio della lettera del consigliere D'Ambrosio cui fa riferimento la richiesta di mia testimonianza ammessa dalla Corte, non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire e tenderei a fare anche indipendentemente dalle riserve espresse dai miei predecessori Cossiga e Scalfaro sulla costituzionalità della norma di cui all'art. 205 del c.p.p.

Dei problemi relativi alle modalità dell'eventuale mia testimonianza, la Corte da lei presieduta è peraltro certamente a consapevole come ha - nell'ordinanza del 17 ottobre - dimostrato di esserlo dei 'limiti contenutistici' da osservare ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012.

[Informazioni tratte da Corriere.it, ANSA, AGI, RaiNews24]

- La lettera di Loris D'Ambrosio a Giorgio Napolitano (Guidasicilia.it)

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25 novembre 2013
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