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Il clan di Salvatore Lo Piccolo e la Pax gastronomica. Dalle intercettazioni dell'inchiesta ''Occidente''

29 gennaio 2007

Sarebbe potuta scoppiare una nuova guerra di mafia per colpa del furto alcune mucche e di una decina di forme di caciocavallo rubate da una masseria di Torretta (PA).
Era il 2003 quando i ''pezzi da novanta'' di Palermo, Carini e Torretta stavano per dichiararsi guerra, scongiurata grazie all'intervento del numero due di Cosa nostra, il latitante Salvatore Lo Piccolo, definito dai boss ''la testa dell'acqua'', e uomo di fiducia di Bernardo Provenzano.
Queste sono alcuni dei fatti ascoltati da un ex vice capo della Mobile e dalla moglie, funzionario della sezione Misure di prevenzione della questura, che hanno fatto partire l'inchiesta denominata ''Occidente'' che giovedì scorso (25 gennaio 2007) ha portato in carcere quarantotto persone: boss, gregari e ''insospettabili'', che gestivano piccoli e grandi affari nella zona di San Lorenzo, a Palermo, fino a Carini (leggi).

Nell'inchiesta seguita da vicino dal questore Giuseppe Caruso, che in questi mesi ha inanellato una serie di colpi contro la criminalità organizzata a cominciare dall'arresto di Provenzano, è finito anche un ''insospettabile'' ragioniere commercialista, Girolamo La Porta, 59 anni, che aiutava le cosche a riciclare le grandi somme provenienti dalle attività illegali. Nel suo studio di Partanna Mondello gli investigatori hanno trovato tracce del riciclaggio e degli affari conclusi anche al Tribunale fallimentare, dove ''amici degli amici'' segnalavano e forse anche truccavano le vendite di aziende, terreni e fabbricati che finivano poi a prezzi stracciati nelle mani dei boss. Un patrimonio che è stato subito sequestrato dalla polizia.

Accanto all'attività imprenditoriale, c'erano poi le estorsioni ai danni di imprenditori estranei a Cosa nostra. Le indagini della squadra mobile, coordinate dal procuratore aggiunto della Dda Alfredo Morvillo e dai sostituti Annamaria Picozzi, Domenico Gozzo e Gaetano Paci, hanno mostrato che alcuni imprenditori, arrestati nel blitz, assumevano fittiziamente la titolarità di beni e attività, in realtà di proprietà di mafiosi. In alcuni casi gli imprenditori avevano costituito con i boss vere e proprie società di fatto.
Tra gli arrestati vecchi cognomi mafiosi, come quelli dei Gallina, degli Sparacio, dei Bruno, dei Pipitone, dei Biondo e dei Biondino, ma anche incensurati o personaggi con precedenti di piccolo spessore, come Angelo Conigliaro, l'anziano che si è rivelato un vero boss.

Seguendo la pista della guerra di mafia che stava per scoppiare nel 2003 tra le cosche per una serie di furti di bestiame e caciocavalli, intercettata in diretta dagli investigatori, si è scoperto che la ''pace'' e le successive riunioni per decidere la spartizione degli affari, e alle quali Salvatore Lo Piccolo intervenne personalmente, hanno avuto come scenario due ristoranti: ''La locanda di San Giorgio'', nei pressi della stazione ferroviaria di Carini, e il ''Vecchio Mulino'', a Torretta.
In quest'ultimo ristorante si organizzò un affollatissimo pranzo. Per l'occasione il titolare lo aprì nonostante il giorno di chiusura. Attorno al tavolo si riunirono uomini d'onore delle famiglie di Carini, Torretta, Passo di Rigano e Montelepre. Il ''summit gastronomico'' dei boss venne fotografato dagli investigatori appostati lì vicino.
''Scene da vecchia mafia americana - ha raccontato un investigatore che ha partecipato alle indagini -. Un summit con tanto di boss che giungevano sul posto a bordo di automobili guidate da autisti personali che poi controllavano la zona circostante''.

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29 gennaio 2007
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