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Il Clima nel G8

La ''grande intesa che salverà il pianeta'' così come concepita... non salverà il pianeta

10 luglio 2009

Quella di ieri è stata la giornata che il G8 ha dedicato al Clima. Una giornata nella quale è stato sicuramente fatto un'importante passo avanti.
"Il clima è la sfida centrale, non solo una nazione è responsabile e nessuna può affrontarla da sola". Questa la dichiarazione del presidente degli Usa Barack Obama dopo l'incontro dei paesi del MEF (Major Economies Forum, sede che raccoglie le 17 maggiori economie mondiali, sviluppate ed emergenti, responsabili nel complesso per circa l'80% dei gas serra globali: gli Otto più Australia, Brasile, Cina, Corea del sud, India, Indonesia, Messico e Sudafrica). "La scienza è chiara" riguardo ai rischi a cui andrà incontro il nostro pianeta se non si agisce, ha aggiunto il presidente Usa ricordando come si stia alzando il livello dei mari e si innescano dei processi che possono aumentare i problemi di sicurezza alimentare e di siccità.
"Al vertice si sono fatti passi importanti" ha aggiunto Obama che, pur riconoscendo che tutte le differenze non sono state risolte, ha sottolineato che "non è un impegno da poco risolvere tutte le differenze di posizioni tra 17 paesi sulla questione del clima".
 
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dal canto suo ha sottolineato che la posizione assunta dalla politica americana sul clima è "un grande cambiamento" rispetto all'amministrazione precedente. Il premier ha applaudito all'intenzione manifestata da Barack Obama "di mettersi alla testa di questo movimento". Quanto alla posizione di Cina e India, Berlusconi ha notato che sulla questione della riduzione dei gas serra "l'atteggiamento dei due Paesi è stato molto positivo" e "addirittura ci ha sorpreso".
L'obiettivo è quello di ridurre la produzione di anidride carbonica entro il 2050, ma "naturalmente va considerata la difficile situazione delle economie emergenti: non si può certamente pretendere che pratichino le stesse 'diete' dei Paesi occidentali. C'è stata una concordia, abbiamo esaminato anche le possibilità per stabilire le diverse regole che dovranno essere seguite dai diversi Paesi, ma mi sembra di poter dire che c'è stata la concorde volontà di procedere in questa direzione e quindi guardiamo alla Conferenza Onu che si terrà a dicembre a Copenaghen con molto maggiore ottimismo di prima".

Ma, quanto presentato come la "grande intesa che salverà il pianeta", è stato accolto dal coro di critiche degli ambientalisti e dal secco giudizio di "insufficienza" del segretario generale dell'Onu.
Infatti, al vertice del G8 dell'Aquila è stato raggiunto solo uno dei due ambiziosi obiettivi per la dichiarazione sul clima. Sì perché, se è vero che nella dichiarazione finale, per la prima volta, i maggiori Paesi industrializzati e quelli emergenti riconoscono la necessità di contenere entro i due gradi centigradi il surriscaldamento del pianeta, è pur vero che Cina e India non hanno voluto indicare l'obiettivo di un taglio del 50% delle emissioni di C02 entro il 2050.
Insomma, un documento fatto da due parrti che non dialogano tra loro. E comunque il problema è un altro: nella "grande intesa che salverà il pianeta" mancano totalmente gli obiettivi intermedi. Si danno indicazioni ai nipoti e si tace su quello che bisogna fare oggi. Del resto, come ha osservato il presidente di turno dell'Unione europea, lo svedese Fredrick Reinfeldt, "per i politici di oggi è più facile prendere impegni da qui a 40 anni, visto che molti di loro non ci saranno più".

Fissare un tetto di aumento a 2 gradi e rinviare a tempo indeterminato le misure operative significa parlare lingue che appartengono a epoche diverse: prima e dopo lo spartiacque segnato nel 2007 dal quarto rapporto Ipcc con cui la comunità scientifica ha suonato il campanello d'allarme e ha detto che il tempo è scaduto. Per restare sotto i due gradi - spiegano gli scienziati Onu che hanno vinto il Nobel per la pace - bisogna che la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera non superi le 400-450 parti per milione. Oggi siamo a quota 385 e il tasso di aumento, progressivamente sempre più veloce, è già a due parti per anno: non ci vuol molto a misurare l'urgenza di un cambiamento.
Il protocollo di Kyoto aveva fissato un calendario di tagli delle emissioni serra che si esaurisce nel 2012. A dicembre, alla conferenza di Copenaghen, bisognerà stabilire cosa fare nel 2013, non nel 2050. Occorre un'intesa globale e il fatto che anche i paesi di nuova industrializzazione si siano dichiarati d'accordo sul limite dei 2 gradi rappresenta un'apertura importante. Per raggiungere l'accordo bisogna però stabilire come dividere gli impegni e il fatto che l'export delle tecnologie pulite sia stato finora somministrato con il contagocce non aiuta. Restano cinque mesi per risolvere i problemi che il G8 non è riuscito a superare. [Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, AGI, Repubblica.it]

Jeremy Rifkin boccia l'accordo dei grandi
"È RIDICOLO, NON SALVERÀ IL PIANETA"

di Antonio Cianciullo (Repubblica.it, 10 luglio 2009)

"Per mettere d'accordo tutti hanno deciso di andare alla velocità del più lento: così è facile raggiungere un'intesa". Jeremy Rifkin risponde al telefono da Montecarlo, in una pausa dell'incontro con il principe di Monaco che vuole varare un piano per frenare i gas serra. E il giudizio del presidente della Foundation on Economic Trends sul risultato del G8 è secco: "Un accordo ridicolo".

Eppure è stato fissato il tetto di 2 gradi all'aumento di temperatura del pianeta: finora gli Stati non avevano dato un'indicazione così precisa.
"D'accordo, ma cosa si deve fare per non superare i 2 gradi? Non basta esprimere un pio desiderio, bisogna prima di tutto capire a che livello di concentrazione di anidride carbonica in atmosfera corrisponde un aumento di 2 gradi e poi organizzare un sistema energetico coerente".

L'Ipcc ritiene che, per restare entro un aumento di 2 gradi, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera non debba superare le 400-450 parti per milione.
"L'Ipcc è molto cauta e i suoi precedenti rapporti, spesso definiti allarmisti, sono stati superati dai fatti: l'accelerazione del disordine climatico è stata più drammatica di quella prevista. Jim Hansen, uno dei più accreditati climatologi, dopo aver studiato le carote di ghiaccio che raccontano il passaggio da un'era glaciale a una interglaciale, offre un quadro della situazione molto diverso: quando in passato si è mantenuta per un certo periodo una concentrazione di 450 parti per milione di anidride carbonica l'effetto è stato un balzo della temperatura di 6 gradi, non di 2. E un rapido aumento di 6 gradi non è compatibile con il mantenimento della società umana così come noi la conosciamo".

Secondo Jim Hansen l'obiettivo è portare la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera a 350 parti per milione, cioè ridurla rispetto al presente portandola più vicina a quota 280, il livello preindustriale. Questo vorrebbe dire attuare una politica di tagli drastici e immediati che molti considerano incompatibili con lo sviluppo economico.
"Io credo che sia vero l'opposto: l'errore sta nel pensare solo ai tagli delle emissioni che invece dovrebbero essere un effetto secondario di politiche virtuose capaci di rilanciare l'economia, altro che affossarla. Per uscire dalla tre crisi che ci soffocano, quella economica, quella energetica e quella ambientale, non possiamo limitarci a magiare un po' meno della vecchia minestra inquinante: dobbiamo lanciare la terza rivoluzione industriale pensando in positivo, cioè fissando traguardi sulle industrie da rilanciare. Non bisogna dire ai vari paesi quante emissioni tagliare, ma quanti impianti puliti costruire".

Più industrie e meno emissioni?
"Esattamente. La terza rivoluzione industriale è quella che permette uno sviluppo economico che si concilia perfettamente con la riduzione delle emissioni. Ad esempio con le smart grid, con l'energia diffusa e decentrata, ogni casa sfruttando il sole può diventare una vera e propria piccola centrale di produzione di elettricità e calore. Se adottassimo questo modello il settore delle costruzioni, che oggi è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, potrebbe diventare parte della soluzione al problema".

Le case come elemento trainante del nuovo modello energetico?
"Uno dei quattro pilastri. Il primo è costituito dalle energie rinnovabili. Il secondo è rappresentato dagli edifici sostenibili. Il terzo dalle tecnologie basate sull'idrogeno che serve a immagazzinare l'energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Il quarto pilastro dalle reti intelligenti per distribuire l'energia secondo il modello del web".

- La terza rivoluzione industriale può partire dalla Sicilia (Guidasicilia.it, 16/03/09)

 

 

 

 

 

 

 

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10 luglio 2009
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