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Il coraggio di denunciare

La collaborazione con la giustizia di un imprenditore, ha permesso lo smantellamento di un organizzazione criminale

21 luglio 2005

''Solitamente l'anaconda sferra l'attacco alle sue prede quando queste, ignare del pericolo, si avvicinano all'acqua per abbeverarsi. Il serpente trascina la preda sott'acqua e l'avvolge nelle sue spire, cosicché la morte avviene per stritolamento e per annegamento''.

Antonino Giuliano, imprenditore edile di Messina, dopo essere stato per diversi anni vittima del racket delle estorsioni, ha avuto il coraggio di collaborare con i pm della Dda di Messina e con la polizia di Stato.
Le sue dichiarazioni, cominciate nel dicembre del 2004, hanno fortemente contribuito all'inchiesta che ieri mattina ha portato gli agenti della Mobile all'esecuzione di nove provvedimenti di custodia cautelare emessi dal gip Alfredo Sicuro, nei confronti di un'organizzazione criminale.
L'operazione, denominata ''Anaconda'', ha messo bene in risalto la grave situazione in cui vivono gli imprenditori di Messina, costretti a pagare il pizzo alle cosche mafiose perchè minacciati di morte.

A capo dell'organizzazione c'era, secondo l'accusa, Giovanni Lo Duca, di 35 anni, che ha ereditato il clan del defunto boss Antonino De Luca e che ha approfittato nel 2003 dell'arresto del boss della zona sud di Messina Giacomino Spartà, per allargare i suoi confini ed estendere le sue attività economiche.
A Lo Duca, Antonino Giuliano era costretto a pagare mensilmente cinque milioni di vecchie lire e a concedergli gratuitamente anche una grande villa.
Antonino Giuliano ha raccontato agli inquirenti il modo in cui i boss lo hanno ridotto sul lastrico, facendolo finire sull'orlo del fallimento.
L'imprenditore oltre a versare il ''pizzo'' e assumere due persone imposte dalle cosche mafiose, è stato costretto a cedere la propria automobile acquistata in leasing al presunto boss Giovanni Lo Duca e a pagargli l'affitto di una villa per le vacanze estive nel 2003 nel Villaggio Sant'Agata e nel 2004 a Torre Faro.
Giuliano è stato anche vittima dei boss per somme prestate con interessi da usura. L'imprenditore ha raccontato che nel momento in cui si è trovato in condizioni di difficoltà economica, su impulso di Antonino Veneziano e Massimiliano D'Angelo, entrambi arrestati ieri, si era rivolto a Giovanni Lo Duca per operazioni di un cambio di assegni che venivano effettuate applicando un tasso di interesse del 40% mensile. In buona sostanza, Giuliano consegnava a D'Angelo e Veneziano assegni postdatati a trenta giorni e riceveva nell'immediatezza denaro contante per un valore pari al 60% dell'importo dei titoli.
In altri casi le operazioni di cambio riguardavano assegni postdatati consegnati dai clienti e il tasso praticato da Lo Duca variava tra il 30% e il 50%.

Antonino Giuliano durante la sua collaborazione con i pm della Dda ha anche affermato di avere riconosciuto nell'identikit del boss latitante Bernardo Provenzano, mostrato nei mesi scorsi dalla trasmissione di Rai Tre 'Chi l'ha visto?', una persona che ha incontrato nel 2004 a casa dell'imprenditore Michelangelo Alfano. Giuliano ha affermato che quell'uomo presente nell'abitazione dell'imprenditore, che è accusato di collusioni con Cosa nostra, somigliava molto al capomafia latitante da 42 anni. L'imprenditore ha reso inoltre dichiarazioni che potrebbero avere interesse anche nell'inchiesta coordinata dalla procura generale di Reggio Calabria che nei mesi scorsi ha portato all'esecuzione di numerosi ordini di custodia cautelare nell'ambito dell'inchiesta denominata ''Gioco d'azzardo'' che nei mesi scorsi aveva portato all'arresto di imprenditori, politici, avvocati, un funzionario di polizia e un giudice, e poi al coinvolgimento di altri magistrati e uomini d'affari di Messina.

Ma a Messina non era soltanto Antonino Giuliano ad essere stato stretto tra le spire dell'anaconda estorsiva, l'organizzazione criminale infatti, avrebbero imposto estorsioni a diversi commercianti e imprenditori che erano costretti a versare cinquemila euro al mese per la protezione ma anche a fare assunzioni fittizie di affiliati al clan e ad acquistare materiale edile dai fornitori imposti dal gruppo Lo Duca.
I provvedimenti hanno riguardato Giovanni Lo Duca, 35 anni, suo fratello Santo, di 41, e la sorella Anna, di 31; Giuseppe Crupi, di 46, gestore di un rifornimento Ip; Massimiliano D'Angelo, di 33, Giorgio Davì, di 44, Luigi Mancuso, di 42, Antonino Veneziano, di 31. Il gip ha concesso gli arresti domiciliari a Celestina Martino, di 56 anni.
Durante l'operazione gli agenti della Mobile hanno anche sequestrato un bar e una società che opera nel settore ortofrutticolo, una Jaguar della famiglia Lo Duca, 20 mila euro in contanti e una pistola calibro 7,65.

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21 luglio 2005
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