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Il costo del ''pacchetto clima-energia''

Per l'Italia, il pacchetto chiamato a sostituire Kyoto risulta troppo costoso per economia e industria

20 ottobre 2008

L'Italia nei giorni scorsi ha spedito alla Commissione europea per l'Ambiente l'analisi sui costi che il "pacchetto clima-energia" dell'UE avrebbe per il nostro Paese. Un costo eccessivo che va a scontrasi con la preoccupante e difficile situazione economico-finanziaria odierna, che come ben sappiamo non interessa solo l'Italia ma l'intero quadro globale. Per farla breve e sintetica, così come i Paesi che camminano ora nel viale della crescita - prime su tutte Cina e India - hanno recentemente chiesto di differenziare la richiesta di sacrifici per la costruzione di un industria e, più in generale, dei sistemi di produzione meno inquinanti, l'Italia oggi fa presente che la situazione economica dell'Occidente non permette l'avvio del "pacchetto clima-energia".
Dopo aver letto l'analisi italiana, venerdì scorso Stravos Dimas, commissario europeo all'Ambiente, ha detto che "i dati italiani sui costi che il 'Pacchetto clima-energia' avrebbe sul sistema industriale nazionale (-1,14% del Pil) non hanno nulla a che vedere con il Pacchetto Ue". Dimas si è detto inoltre "sbalordito di fronte agli argomenti avanzati dall'Italia". "L'Italia è uno dei Paesi che ne uscirà meglio - ha aggiunto Dimas -. Non capisco perché veda le cose così pessimisticamente, considerando che ha le competenze necessarie per l'innovazione e grandi possibilità in materia di energie rinnovabili". Secondo il commissario europeo, "il costo supplementare non significa perdita netta, perché i soldi restano nelle casse dello Stato". "In Italia - ha proseguito il commissario - i numeri sono completamente al di fuori di ogni proporzione rispetto a quello che chiediamo ai Paesi di fare. Non so da dove vengono, ma non sono ciò che noi chiediamo", ha precisato il commissario.
Secondo la Ue i costi sarebbero tra i 9,5 e i 12,3 miliardi, mentre in Italia si parla di 18-25 miliardi.

Le parole del commissario Dimas hanno avuto replica dal ministro dell'Ambiente italiano, Stefania Prestigiacomo: "Il Commissario Dimas prima di sbalordirsi dovrebbe rileggere il documento diffuso dalla commissione Ue (non del Governo Italiano) 'Model-based Analysis of the 2008 EU Policy Package on climate change and renewables' che è stato reso noto solo a fine settembre, nonostante l'Italia chiedesse da mesi una verifica dei costi del pacchetto clima-energia senza ottenere risposta". "Le valutazioni che abbiamo fatto - ha detto Prestigiacomo - sono tratte da quegli scenari preliminari utilizzati dall'Ue per la valutazione dei costi e prendono in considerazione l'unica ipotesi che prevede il raggiungimento da parte del nostro Paese degli obiettivi del 20-20-20 (20% di fonti rinnovabili, 20% di risparmio energetico e 20% riduzione CO2, ndr). Quella ipotesi parla di un costo di 181,5 miliardi fra il 2011 e il 2020 e di un costo annuo di 18,2 miliardi, con un peso del 1,14% sul Pil. Altre valutazioni, a costi minori, prevedono esplicitamente che l'Italia non raggiunga gli obiettivi". "Ma - ha aggiunto ancora la Prestigiacomo - se il nostro paese deve assumere un impegno e valutarne i costi, deve ovviamente valutare quanto costa raggiungere l'impegno, non quanto costerebbe disattenderlo. Ciò detto, siamo pienamente disponibili ad un confronto sui dati di costo del pacchetto energia e credo che lunedì (oggi, 20 ottobre 2008, ndr) il Consiglio dei Ministri Ambiente Ue, in Lussemburgo, sarà l'occasione per fare chiarezza su questo fondamentale aspetto del provvedimento".

Allora, riepilogando: oggi per l'Italia, il pacchetto chiamato a sostituire Kyoto comporta troppi costi per economia e industria. "Non è possibile che l'Italia si addossi 18 miliardi all'anno", aveva ribadito sempre nei giorni scorsi Berlusconi al vertice Ue. La soluzione, aveva aggiunto il premier, deve guardare ad una migliore ripartizione dei costi tra i vari stati che "sia basata sulla popolazione di ciascuna nazione" e non sul prezzo dei permessi di inquinare che le industrie dovranno pagare.
Dimas, ha poi tentato di smorzare i toni ("Non stiamo combattendo contro l'Italia, ma al contrario stiamo cooperando"), ricordando però che l'Italia deve "prendere provvedimenti" per mettersi in regola con le norme in vigore in applicazione del Protocollo di Kyoto per la riduzione dei gas a effetto serra, avvertendo che si tratta di "un obbligo giuridico". Dimas ha voluto ricordare pure che, prima del "pacchetto" su cui sono ancora in corso i negoziati, gli Stati membri dovranno comunque rispettare gli impegni presi in precedenza, e riguardanti il periodo 2008-2012. In questo quadro, l'Italia dovrebbe ridurre le proprie emissioni del 6,5%, ma secondo i dati più recenti, pubblicati dalla Commissione europea, si stima che al 2010 le avrà aumentate invece del 7,5%, a politiche invariate, o diminuite solo del 4%, se farà pieno uso degli "strumenti" di flessibilità di Kyoto (la "borsa delle emissioni" e il ricorso a "crediti esterni", ovvero la possibilità di contabilizzare in patria riduzioni di CO2).

E proprio alla vigilia del faccia a faccia di oggi, a Lussemburgo, tra Dimas e il Prestigiacomo, Silvio Berlusconi è ritornato a difendere la richiesta del governo di avere "più tempo per approfondire" il pacchetto clima. "La richiesta italiana di avere più tempo per approfondire il tema dei costi per la riduzione dell'anidride carbonica è stata condivisa da altri 9 stati. Non c'è quindi nessun isolamento dell'Italia in Europa, ma solo la continuazione di un costume deteriore dell'opposizione e cioè quello di fare polemiche anche contro il proprio Paese". Berlusconi ha risposto così anche alle polemiche riportate dai giornali. "Leggo su alcuni quotidiani - ha infatti sottolineato il presidente del Consiglio - che l'Italia si troverebbe isolata in Europa per quanto riguarda la vicenda del clima. Non è assolutamente vero. L'Italia ha richiesto che i costi della riduzione delle emissioni di anidride carbonica vengano sostenuti in modo eguale da ciascun cittadino europeo. Altrimenti, i costi stessi sarebbero più pesanti per i Paesi manifatturieri". Una richiesta, quella di approfondire i costi, che, precisa Berlusconi, "è stata condivisa da altri nove Stati" e che dunque non ha portato ad "alcun isolamento del nostro Paese". E' solo, ha detto infine il premier, "la continuazione di un costume deteriore dell'opposizione: quello di fare polemiche contro il proprio Paese".

Comunque, al di là della polemica sulle cifre, l'Italia ha posto altri problemi che rischiano di far deragliare il pacchetto clima: inannazitutto, la nuova richiesta di una clausola di revisione su costi e benefici delle misure previste, che dovrebbe scattare nel 2009 e portare eventualmente, secondo il governo, anche a rivedere la ripartizione dello sforzo di riduzione delle emissioni fra i vari Stati membri. La presidenza francese e la Commissione, tuttavia, appaiono poco propense ad accettare il rischio di riaprire il vaso di Pandora, rimettendo in discussione l'attuale ripartizione delle riduzioni di emissioni in obiettivi nazionali differenziati; così come non sembrano disposte ad accettare nessuna obiezione di tipo "sistemico" al pacchetto Ue, non solo quelle italiane (come l'opposizione di principio al sistema Ets di compravendita dei diritti di emissione, già in vigore per Kyoto), ma soprattutto quelle dei paesi dell'Est, che pretendono di calcolare le riduzioni obbligatorie di CO2 non a partire dal 2005, ma riferendole al 1990. Va rilevato che proprio quest'ultima richiesta del "blocco" dell'Est (che però non è così compatto), rende molto difficile un'alleanza con l'Italia contro il pacchetto Ue. Se mai venisse portato al 1990 l'anno di riferimento, emergerebbe subito che lo sforzo richiesto all'Italia è in realtà molto minore di quello chiesto a paesi come la Germania o la Gran Bretagna, al contrario di quanto sta affermando in questi giorni il governo. Questo perché il riferimento al 2005 fotografa una situazione in cui quasi tutti i paesi europei hanno diminuito le emissioni rispetto al 1990, in applicazione del Protocollo di Kyoto, mentre l'Italia le ha aumentate notevolemente, allontanandosi sempre più dal suo obiettivo.

In sostanza, se lo sforzo chiesto all'Italia entro il 2020 rispetto al 2005 è comparabile, e in qualche caso maggiore, di quello degli altri Stati membri, è solo perché in questo modo non viene calcolato l'enorme ritardo del Paese sulle riduzioni di emissioni obbligatorie previste da Kyoto (che non è solo un convenzione internazionale, ma anche una legislazione Ue vincolante per ogni Stato membro). La richiesta "sistemica" su cui punta di più il governo italiano (rivedere la ripartizione degli oneri fra gli Stati membri) e l'alleanza tattica con i paesi dell'Est risultano insomma difficilmente praticabili, e rischiano addirittura di essere controproducenti. Tra l'altro, come annunciato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, il governo chiederà anche di rinviare e di rinegoziare il protocollo di Kyoto.

Sul fronte dell'opposizione...
Felice Belisario, capogruppo dell'Idv al Senato ha detto: "Sulla necessità di proteggere il clima da mutamenti catastrofici non ci possono essere ripensamenti. Il nostro Paese deve adeguarsi al protocollo di Kyoto e al programma dell'Unione europea. I danni all'ambiente sono irreversibili e provocano costi incalcolabili, senz'altro superiori a quelli che dovranno sostenere le nostre imprese per ridurre le emissioni nocive". Ermete Realacci, ministro dell'Ambiente del governo ombra: "La sfida ambientale è la vera opportunità da cogliere per rilanciare l'economia italiana. Il governo Berlusconi sta intraprendendo un pericoloso viaggio nel passato e il nostro premier continua a inchiodare l'Italia in una posizione di retrovia rispetto al resto d'Europa". Pierluigi Bersani, ministro ombra per l'Economia: "Si tratta di migliorare dei particolari applicativi, non di aprire un fronte generico e polemico".

[Informazioni tratte da Repubblica.it, Corriere.it, Adnkronos/Ing]

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20 ottobre 2008
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