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Il democristiano onesto

Il 6 gennaio 1980 Cosa nostra uccideva Piersanti Mattarella, il governatore siciliano che voleva il cambiamento

06 gennaio 2010

Era il 6 gennaio 1980, trent'anni fa, quando la mafia consumò, come scrissero i giornali, il più grave "delitto politico dopo quello di Aldo Moro". L'accostamento alla figura dello statista democristiano non era solo un artificio simbolico: Piersanti Mattarella, crivellato di colpi davanti casa in via Libertà, a Palermo, di Moro era l'allievo prediletto e l'interprete della linea di rinnovamento morale e politico che a quel tempo attraversava la Dc.
Alla Presidenza della Regione Siciliana era stato eletto poco dopo l'assassinio del suo "maestro". Qualche giorno prima di essere ucciso aveva incontrato il ministro dell'Interno, Virginio Rognoni. "Se sapessero di cosa abbiamo parlato mi ucciderebbero" confidò alla sua collaboratrice più diretta e suo capo di gabinetto. E' ciò che puntualmente accadde il 6 gennaio 1980. Mattarella si apprestava a salire in macchina con la moglie Irma Chiazzese e i figli per recarsi a messa quando venne affrontato da un killer, affiancato da un complice, che passò davanti alla moglie del presidente, colpita dai suoi "occhi di ghiaccio".

A quel tempo la mafia aveva già cominciato a dare segnali terrificanti: tra il 1978 e il 1979 aveva ucciso Giuseppe Impastato, il giornalista Mario Francese, il segretario della Dc palermitana Michele Reina, il vice questore Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova.
E nel 1980, oltre a Mattarella, avrebbe eliminato il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e il procuratore Gaetano Costa che aveva cominciato a inoltrarsi sul terreno delle collusioni tra mafia e politica. Cosa nostra aveva insomma avviato un attacco senza precedenti nel quale vennero riconosciuti anche connotati "terroristici" alimentati da un'ondata di rivendicazioni sospette, dai Nar alle Brigate Rosse: i depistaggi erano partiti subito. In realtà obiettivo di quella stagione di sangue, avrebbero chiarito le inchieste del pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, era quello di fermare gli uomini impegnati in Sicilia in un'opera estesa di ricambio e di rinnovamento.
Il processo per il delitto Mattarella ha prima seguito la pista "nera" alla quale Falcone mostrava di credere quando ha mandato a giudizio due terroristi neofascisti, Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini: il primo era stato riconosciuto anche da Irma Chiazzese. Ma alla fine entrambi sono stati assolti con una sentenza che adombra appunto un caso di depistaggio. I giudici hanno ritenuto più conducenti le dichiarazioni dei pentiti e hanno quindi condannato all'ergastolo con Totò Riina e Bernardo Provenzano altri uomini della cupola: Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino 'Nené' Geraci e Francesco Madonia. Mentre Tommaso Buscetta ha fornito indicazioni generiche per escludere la pista nera, Francesco Marino Mannoia ha raccontato che Cosa nostra aveva deciso di uccidere Mattarella perché infastidita dalle sue iniziative. Il boss Stefano Bontade avrebbe espresso le sue critiche in tre incontri con il senatore Giulio Andreotti, prima e dopo il delitto. Il boss avrebbe rassegnato al senatore le irritazioni della mafia e nell'ultimo incontro, a delitto compiuto, avrebbe dato ad Andreotti, che ha sempre smentito, una risposta sprezzante alle richieste di spiegazioni: "Qui comandiamo noi". Mattarella avrebbe così pagato il suo sforzo di ricerca di un riscatto morale per la storia politica più oscura della Sicilia che di lì a poco sarebbe culminata con altri delitti eccellenti. Due soprattutto: quello del segretario del Pci siciliano Pio La Torre e quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Piersanti Mattarella è stato ricordato questa mattina a Palermo, nel trentesimo anniversario del suoi assassinio. Corone di fiori sono state deposte dinanzi alla lapide che ricorda l'uccisione del presidente della Regione. Erano presenti la vedova, i figli e il fratello Sergio e numerose autorità politiche, militari, religiose e magistrati. Dopo la cerimonia, nella chiesa dell'istituto Gonzaga è stata celebrata una funzione religiosa.
Tra gli altri, hanno preso parte alla cerimonia il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso (giovane magistrato di turno il giorno dell'omicidio), il presidente della Regione Raffaele Lombardo, il presidente della Provincia di Palermo Giovanni Avanti, il sindaco di Palermo Diego Cammarata, il questore Alessandro Marangoni, l'assessore regionale alla Sanità Massimo Russo, l'assessore regionale agli Enti Locali Caterina Chinnici. Presenti anche il capogruppo del Pd all'Ars Antonello Cracolici e il senatore del Partito Democratico Beppe Lumia. Alla commemorazione hanno preso parte pure il comandante della legione carabinieri Sicilia Vincenzo Coppola, il comandante provinciale dei carabinieri Teo Luzi e il comandante regionale della Guardia di Finanza Domenico Achille.
Domani la famiglia Mattarella al completo, con figli e nipoti, sarà ricevuta dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, al quale sarà consegnato un Dvd con la riproduzione della puntata dedicata lunedì sera a Mattarella da Rai Tre. Il documentario "La Grande Storia", nel quale i congiunti più stretti hanno revocato i momenti drammatici dell'agguato, ha totalizzato 1 milione 260mila telespetattori.

"Forse la storia della Sicilia sarebbe stata diversa senza l'omicidio di Mattarella. Le indagini, i processi, hanno fatto venir fuori il grande significato politico di questo omicidio che ha ripristinato l'esistenza di quel perverso intreccio tra affari, mafia e burocrazia siciliana che ha funestato per tanti anni la nostra terra". Queste le parole del procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso a margine della commemorazione di Piersanti Mattarella. "Purtroppo le indagini sono arrivate fino a un certo punto, non sono potute andare oltre i mandanti come capi mafiosi di quel tempo - ha proseguito -. Oggettivamente quel periodo fu una stagione di stragi senza bombe, ma la presbiopia del tempo lascia vedere meglio le cose. Adesso – ha concluso Grasso – siamo in grado di dire che era un preciso attacco alle istituzioni e una escalation che si doveva evitare. Le speranze per capire i retroscena del delitto Mattarella sono ancora accese. Le indagini non finiscono mai, ci può sempre essere qualche spunto, qualche collaboratore che faccia un po' più di luce sull'omicidio".

[Informazioni tratte da Ansa.it, LiveSicilia.it, La Siciliaweb.it]

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06 gennaio 2010
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