Il fatturato ''nascosto'' e i lavoratori in nero che danneggiano il Belpaese
L'economia sommersa pesa in totale tra 190 e 204 miliardi di euro
Da un minimo del 15,1% fino al 16,2%. Questo il valore dell'economia sommersa nel 2002 secondo i dati diffusi dall'Istat nelle scorse settimane. L'economia in nero pesa, dunque, tra 190 e 204 miliardi di euro. Un dato in netta crescita rispetto a dieci anni prima, quando la percentuale minima era pari al 12,9% e la massima al 15,8%, rispettivamente 101 e 124 miliardi di euro.
Il settore agricolo è quello a più alta incidenza di sommerso, con il 36,9% del fatturato "nascosto". Ma questa cifra corrisponde appena a 10,3 miliardi di euro. Più consistenti, anche se con percentuali minori, i valori nei servizi, che registrano tra i 146 e i 161 miliardi di sommerso (pari al 19,2%), e nell'industria con 32 miliardi "nascosti" (9%).
Secondo l'Istat, la quota di Pil sommerso (16,2%) deriva per il 6,9% dalla sottodichiarazione del fatturato ottenuto con un'occupazione regolarmente iscritta nei libri paga, per l'8,2% dallo sfruttamento di lavoro non regolare e per l'1,2% dalla necessità di riconciliare le stime dell'offerta di beni e servizi con quelle della domanda.
Sono 3 milioni 437mila i lavoratori irregolari "censiti" nel 2002 dall'Istat a fronte di 20 milioni 698mila di occupati regolari. Il tasso di irregolarità nel nostro Paese raggiunge quindi, il 14,2%, con una crescita dello 0,8% rispetto a 10 anni prima (+300mila lavoratori).
Le nuove forme di flessibilità, insieme ad azioni specifiche di contrasto all'impiego di lavoratori senza contratto, però, hanno frenato l'aumento del lavoro sommerso rispetto al 2001, quando si contavano 3 milioni e 602 mila lavoratori non regolari. Nel 2002, si registra uno sviluppo occupazionale ancora intenso, proprio per la crescita del lavoro regolare. L'input di lavoro regolare passa, infatti, da circa 20,2 milioni di unità nel 2001 a 20,6 nel 2002 (+ 464 mila unità). Tale crescita, però, ha interessato soltanto l'occupazione dipendente regolare che raggiunge, nel 2002, 14 milioni e 204 mila unità (contro i 13,7 milioni nel 2001).
I settori maggiormente coinvolti dall'irregolarità del lavoro sono l'agricoltura e le costruzioni, dove il carattere frammentario e stagionale dell'attività favorisce il lavoro nero. Nel 2002, il tasso di irregolarità del settore agricolo è pari al 33,7% contro il 25,5% del 1992. Al netto del settore agricolo, il tasso di irregolarità per l'intera economia risulta di un punto percentuale più basso (13,1%).
Nelle costruzioni, l'incidenza percentuale si colloca al 13,9% (era il 14,2% nel 1992). L'industria in senso stretto, invece, sembra non utilizzare in modo consistente personale irregolare. In dieci anni il tasso di irregolarità è diminuito dello 0,2% (dal 5,7% al 5,5%). Nei servizi, infine, il fenomeno è maggiormente diffuso nel comparto del commercio, degli alberghi, dei pubblici esercizi e dei trasporti (17,1% nel 2002). Questi ultimi presentano il tasso di irregolarità più elevato (33,5%).
Nel panorama del lavoro irregolare, c'è poi da sottolineare e denunciare lo sfruttamento minorile. Nella sola Sicilia, da un indagine dei carabinieri condotta nel primo semestre dell'anno, su disposizione dell'assessore regionale al Lavoro, 114 sono stati i casi di sfruttamento del lavoro minorile individuati su 156 ispezioni effettuate.
Gli Ispettori e i carabinieri hanno controllato attività produttive e commerciali di ogni tipo; in molti casi, lo sfruttamento del lavoro minorile avviene con il consenso dei genitori o proprio all'interno delle aziende di famiglia.
In tutto il 2003, erano state controllate 214 aziende e 894 lavoratori; i minorenni impiegati irregolarmente erano stati 233, il doppio di quelli assunti nel rispetto delle norme. L'incremento tendenziale dei controlli è del 30%, proiettato ai dodici mesi del 2004.