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Il favismo di Aiello e l'indignazione del giudice Alcamo

Secondo il presidente del Tribunale di Palermo i domiciliari concessi all'ex "re Mida" della sanità siciliano sono un'ingiustizia

27 marzo 2012

La scorsa settimana Michele Aiello, condannato a 15 anni per associazione mafiosa nel processo denominato Talpe alla Dda - in cui fu coinvolto anche l'ex governatore siciliano Totò Cuffaro - è stato scarcerato dal tribunale di sorveglianza per gravi motivi di salute.
Aiello, titolare di un centro diagnostico all'avanguardia a Bagheria, è ritenuto l'alter ego della sanità del capomafia Bernardo Provenzano che avrebbe investito parte del suo denaro nelle attività del manager.
Già in fase di custodia cautelare le precarie condizioni di salute gli consentirono la scarcerazione, ora che sta scontando la pena ormai definitiva i medici, accogliendo l'istanza dei suoi avvocati, hanno stabilito l'incompatibilità col carcere e le condizioni di salute di Aiello. L'imprenditore della sanità, che era detenuto a Sulmona, è ora in detenzione domiciliare nella sua casa di Bagheria.

Nella motivazione del tribunale di sorveglianza dell'Aquila si legge: "Il vitto carcerario non ha consentito un'alimentazione adeguata del detenuto". Pasta o riso con i piselli, seppie e piselli, minestrone e fave. Un menù a base di legumi "dannoso" per Aiello che soffre di favismo.
"Il vitto carcerario non ha consentito un'alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti", hanno sancito i giudici. E quindi l'ex imprenditore "non può rimanere in prigione, perchè esposto a serio e concreto rischio di vita o a irreversibile peggioramento delle già scadute condizioni fisiche".

Secondo Vittorio Alcamo, Presidente del Tribunale di Palermo, che in primo grado condannò Aiello, la decisione dei giudici del Tribunale dell'Aquila "è un’ingiustizia".
Alcamo ha scritto una lunga lettera-denuncia al quotidiano 'Repubblica' in cui spiega perché ritiene ingiusta la scarcerazione di Aiello, condannato per associazione mafiosa. "Faccio parte di un paese in cui i giudici improntano il loro delicato ruolo istituzionale a criteri di sobrietà, serietà e riservatezza e celebrano i valori di Falcone e Borsellino non solo una volta l'anno con parole vuote ma ogni giorno con il loro lavoro - scrive Alcamo nella lettera - In cui le sentenze sono rese nel nome del popolo italiano e la legge è uguale per tutti, siano essi poveri cristi o governatori. In cui le pene definitive vanno scontate per intero e con uguali modalità".

Esprime rispetto per l'ex governatore Cuffaro che, subito dopo la sentenza definitiva a 7 anni, si presentò spontanemante in carcere a Roma: "Un paese in cui le pene definitive vanno scontate per intero e con uguali modalità - scrive Alcamo - E in un paese in cui, devo ammetterlo, un ex potente governatore regionale, Salvatore Cuffaro, si costituisce in carcere per scontare la sua pena dimostrando dignità e rispetto per le istituzioni".
"Eppure - prosegue - oggi mi consento uno sconfinamento nell'altra, e ben più popolata, Italia e me ne scuso anticipatamente. Quella dove, purtroppo, accade tutto il contrario dove un imputato, Michele Aiello, condannato con sentenza in giudicato alla pena di 15 anni e sei mesi di reclusione per mafia è stato autorizzato dal Tribunale di sorveglianza de L'Aquila a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare: per intollerenza alimentare alle fave e ai piselli. Quell'Italia in cui, alla faccia dei detenuti comuni affetti da favismo e ben più serie malattie che scontano anni di carcere, esistono disparità così evidenti da meritare la definizione di ingiustizie. Quell'Italia in cui nessuno si indigna più ed in cui si può arrivare a simili offese dell'intelligenza comune e dei diritti degli altri cittadini privi di mezzi".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Lasiciliaweb.it]

- Totò Cuffaro è in galera. Poi sono (quasi) tutti liberi di Riccardo Arena (diPalermo.it, 25 marzo 2012)

 

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27 marzo 2012
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