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Il figlio di don Vito Ciancimino, è stato arrestato per aver riciclato e reimpiegato il ''tesoro'' ereditato dal padre

12 marzo 2007

Massimo Ciancimino, figlio di don Vito Ciancimino, il potente ex sindaco democristiano di Palermo negli anni Settanta e Ottanta, e longa manus di Cosa nostra corleonese nella realizzazione del ''sacco edilizio'' del capoluogo siciliano, è stato condannato a 5 anni e 8 mesi di reclusione per riciclaggio e reimpiego di denaro.
La sentenza è stata emessa alla fine della settimana scorsa dal gup del Tribunale di Palermo, Giuseppe Sgadari, che ha condannato anche il noto tributarista Gianni Lapis, imputato per intestazione fittizia di beni (5 anni e 4 mesi di reclusione), l'avvocato romano Giorgio Ghiron, accusato di riciclaggio e reimpiego di denaro (5 anni e 4 mesi), mentre la vedova di Vito Ciancimino, Epifania Scardino, è stata condannata a un anno e 4 mesi per intestazione fittizia di beni, pena sospesa.

Il giudice ha inoltre condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali, mentre per Massimo Ciancimino anche il pagamento del mantenimento in carcere durante il periodo di custodia cautelare. Il Gup ha dichiarato Giorgio Ghiron e Massimo Ciancimino interdetti dai pubblici uffici per la durata di 5 anni. Inoltre, sono stati condannati Gianni Lapis e Massimo Ciancimino al risarcimento del danno arrecato alle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 50 mila euro per ciascuna di esse, nonché alle spese processuali sostenute dalle medesime parti civili.

Il denaro riciclato e reimpiegato sarebbe una parte del leggendario tesoro di don Vito, che mai è stato esattamente quantificato.
La decisione è stata presa dopo due giorni di camera di consiglio dal gup Sgadari, che ha ordinato anche la confisca dei beni indicati nei decreti di sequestro preventivo emessi dal gip del Tribunale di Palermo nei confronti degli imputati il 9 luglio, il 25 luglio, il 12 agosto, il 18 agosto 2005 e il 7 giugno 2006: quote di società italiane ed estere, due yatch (''Nonno Attilio'' e ''Vitoandrea''), una Ferrari, una villa nel quartiere marinaro di Mondello, e poi soldi tanti soldi che giravano per i conti del Credit Lyonnais di Ginevra e della Abn Amro di Amsterdam.

''Sono fiducioso nella giustizia ma non posso essere sereno. Mi aspetto una sentenza che lasci fuori i pregiudizi nei confronti del mio cognome'', aveva detto Massimo Ciancimino prima della lettura del dispositivo, che è rimasto agli arresti domiciliari. Una frase di circostanza forse, perché questo procedimento, fin dalle battute iniziali dell'inchiesta, ha sempre avuto come sua base il fatto che Massimo Ciancimino non poteva aver prodotto tutto questo patrimonio che quindi era frutto degli affari del vecchio padre.
''E' una sentenza che non condivido ma che rispetto - ha commentato uno dei suoi legali, Maurizio Mangano -. Mi riservo di leggere i motivi della sentenza e ricorreremo in Appello''.
Un secco 'no comment' invece dai pm della Dda di Palermo Michele Prestipino, Roberta Buzzolani e Lia Sava. La sentenza, nel processo con il giudizio abbreviato, è stata emessa a porte chiuse.

Quindi, secondo l'accusa, Ciancimino, con l'aiuto fidato di Lapis e Ghiron (prestanome dei Ciancimino nei Vito e Massimo Cianciminomovimenti bancari, negli acquisti, nelle vendite, nelle transazioni azionarie), avrebbe riciclato il 'tesoro' illegale del padre. Non tutto comunque, ma una parte, una parte di un bottino che, leggenda vuole, era impossibile da quantificare. 
L'ex sindaco di Palermo, colpevole d'aver sventrato Palermo con le migliaia di concessioni edilizie firmate tutte in una notte sul finire degli anni '70, ebbe a dire ai cronisti, durante il processo che poi lo condannò per mafia e corruzione commentando i provvedimenti di sequestro dei propri beni: ''Mi levarono solo un pelo del c...''. E il potente don Vito dalle sue terrazze di piazza di Spagna a Roma prima di morire, il 19 dicembre 2002, gongolava di fronte alle richieste di aiuto degli investigatori che gli chiedevano notizie sul gotha di Cosa nostra mentre dava consigli al figlio Massimo sulla gestione del tesoro che era riuscito a nascondere non solo alla Giustizia ma anche alla stessa mafia.

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12 marzo 2007
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