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Il fuoco d'Olimpia...

Non cessa la protesta contro la Cina e la ''pacifica'' fiaccola olimpica viene contestata nel nome della libertà del Tibet

25 marzo 2008

Per tutta la durata dei giochi olimpici venivano sospese le guerre in tutta la Grecia. Questa tregua era chiamata Ekecheiria. Un periodo sacro durante il quale dovevano essere abbassate le armi e salvaguardata la vita di chi si recava a Olimpia per gareggiare o per assistere alle gare...
Il 21 luglio 1992 il presidente del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) Juan Antonio Samaranch, da Barcellona, propose all'ONU, con l'appoggio di 184 comitati olimpici, di istituire una tregua olimpica. Il progetto, già adottato il 26 giugno 1993 dall'Organizzazione delle nazioni unite africane, venne approvato dall'Assemblea delle nazioni unite il 25 ottobre 1993. Faceva esplicito riferimento alla Ekecheiria e chiedeva che, dal settimo giorno precedente fino al settimo seguente la durata dei Giochi, fosse osservata una tregua olimpica con interruzione di ogni conflitto.
Il 26 settembre 2003 la Grecia ha presentato all'ONU la proposta di una nuova risoluzione sulla tregua olimpica, sostenuta da 190 paesi, che è stata approvata il 3 novembre. Il motto recita: "Se possiamo avere la pace per 16 giorni, possiamo averla per sempre". I rappresentanti di 204 paesi o Comitati olimpici iscritti ai Giochi estivi di Atene 2004 su richiesta greca hanno firmato esplicitamente la tregua olimpica...

E' stata accesa ieri la fiaccola olimpica, nell'antico sito di Olimpia, in Grecia, e non si spengono le tensioni intorno ai Giochi di Pechino a causa della violenze in Tibet.
A sostenere la protesta contro la Cina anche due membri di Reporters sans Frontières, fra cui il fondatore dell'associazione, Robert Menard, che hanno distratto il servizio d'ordine permettendo a un tibetano di sventolare per qualche istante una bandiera nera, con un paio di manette formate dai cinque anelli olimpici, alle spalle di Liu Qi, presidente del comitato organizzatore di Pechino 2008. Le immagini, in mondovisione, sono state brevemente oscurate dalla tv cinese che, per scongiurare incidenti, le ha trasmesse in differita.
E le azioni di disturbo proseguiranno fino all'8 agosto, giorno dell'apertura dei Giochi. Ad annunciarlo lo stesso Menard, fermato dalla polizia greca con altri due militanti: "Vogliamo che i capi di Stato stranieri boicottino l'apertura dei Giochi. Non abbiamo niente contro le Olimpiadi o contro gli atleti, ricordiamo agli Stati che la Cina è la più grande prigione del mondo". E una tedofora thailandese, Narisa Chakrabongse, presidente della Green World Foundation, ha annunciato che per protesta non porterà la fiaccola: "Voglio mandare un messaggio alla Cina, le sue azioni non possono essere accettate dalla comunità internazionale. La sua politica nei confronti del Tibet va rivista con urgenza".
Il timore è quello che altri tedofori, del lungo viaggio chye dovrà fare la fiaccola in guiro per il mondo, possano aderire alla protesta.

Il presidente del Comitato olimpico internazionale, Jacques Rogge, ha dichiarato: “Sono impegnato in un negoziato silenzioso con la Cina sul Tibet e sui diritti umani”, ed ha aggiunto di “non vedere sul piano internazionale una vera volontà di boicottare le Olimpiadi” e che il prossimo mese incontrerà il primo ministro cinese Wen Jiabao. Il presidente del Cio ha affermato che è rimasto colpito dalle violenze in Tibet, ma ha specificato che il Comitato olimpico è un'organizzazione sportiva e non può fare altro che unirsi ai leader mondiali per chiedere una soluzione pacifica della contesa. Rogge si appellato infine ai manifestanti per non mettere in atto propositi di violenza durante il passaggio della fiaccola e infine ha difeso la decisione di assegnare i Giochi a Pechino.

La contestazione ad Olimpia riflette il fatto che in Cina difficilmente sarà ripsettata l'Ekecheiria. Nella giornata di lunedì un poliziotto cinese è stato ucciso e diversi sono rimasti feriti nell'ultima manifestazione di protesta per il Tibet davanti alla Prefettura autonoma di Garze, nella provincia cinese di Sichuan, ampiamente popolata da tibetani. L'agente cinese sarebbe stato ucciso a coltellate in uno scontro fra i manifestanti e la polizia. Secondo quanto riporta l'agenzia cinese Xinhua, centinaia di dimostranti si sarebbero invece arresi alla polizia cinese nel distretto di Ngawa. Nel frattempo il governo tibetano in esilio in India (a Dharamsala) ha portato a 140 il numero dei morti “accertati” durante le manifestazioni in Tibet. Il governo cinese ne ha ammessi finora 19, di cui 18 civili cinesi "innocenti" uccisi dai manifestanti, e un poliziotto.
In Tibet, cinque persone sono state arrestate perché sospettate di aver appiccato incendi durante la rivolta a Lhasa di qualche settimane fa. Inoltre a Kathmandu la polizia nepalese ha bloccato una manifestazione di protesta di centinaia profughi e monaci tibetani nei pressi degli uffici delle Nazioni Unite. I poliziotti hanno colpito con bastoni di bambù i manifestanti e ne hanno arrestati 400. Il Nepal ha avvertito che non permetterà alcuna manifestazione contro qualsiasi “nazione amica”, in particolare la Cina.
Infine la Cina accusa la stampa internazionale di "distorcere la realtà" nel riferire delle violenze in Tibet. L'agenzia ufficiale Nuova Cina punta l'indice in particolare contro l'americana Cnn, perché ha mandato in onda una foto dell'agenzia France Press dalla quale sarebbero stati "tagliati" i manifestanti tibetani che tiravano pietre contro due veicoli militari. Il Tibet è stato chiuso alla stampa e agli osservatori indipendenti e, alla luce delle ripetute accuse espresse da Pechino, è improbabile che venga riaperto nel prossimo futuro. Ma dopo la censura della contestazione durante la cerimonia di Olimpia, gli organi di informazione cinesi hanno ben poco da lanciare accuse.

Tre studenti italiani a Lhasa - Nelle scorse settimane, parlando degli scontri a Lhasa, abbiamo segnalato la vicenda di tre studenti italiani dell'Università Orientale di Napoli, rimasti segregati nel Campus della Tibet University di Lhasa, dove si trovano per completare il corso di studi, durante le manifestazioni del 14 marzo scorso. Tra questi anche una giovane studentessa di Enna, Giulia Castello, che proprio in quei giorni, a causa della difficilissima situazione aveva deciso di lasciare il Paese appena possibile (leggi). Qualche giorno fa, invece, la mamma di Giulia, ha annunciato che la figlia rimarrà in Tibet: "Mia figlia sta benissimo, è a Kathmandu in Nepal e rimarrà lì non so per quanto tempo. Dovrà completare gli studi". La mamma di Giulia ha rassicurato tutti. Giulia, insieme ad uno dei tre studenti italiani, Athisha, martedì scorso aveva raggiunto in nottata Kathmandu, scortata dalla polizia.

[Informazioni tratte da Repubblica.it, Corriere.it, La Sicilia.it]

 

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25 marzo 2008
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