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Il ''gettito'' del pizzo per le cosche mafiose solo a Palermo può arrivare fino a 175 milioni all'anno

23 giugno 2007

Sono stati diffusi ieri i dati della ricerca sui ''costi dell'illegalità'' condotta da un team di docenti universitari ed esperti, coordinati dal prof. Antonio La Spina, e commissionata dalla Fondazione Rocco Chinnici, con la collaborazione dell'Università degli Studi e dell'Associazione degli industriali di Palermo, e col sostegno della Compagnia di San Paolo.

Secondo i risultati emersi ''il pizzo in Sicilia'' è una piaga sempre più diffusa, al punto da generare per le cosche un ''gettito'' che solo a Palermo può essere calcolato in 175 milioni di euro.

Le aziende pagano mediamente 827 euro al mese. Si va dai 60 euro dei venditori ambulanti ai 17 mila euro mensili per lavori autostradali.
Dallo studio (cominciato nel settembre 2006, intervistando esponenti della magistratura inquirente e giudicante dei quattro distretti di corte d'appello di Palermo, Catania, Messina e Caltanissetta, dei tribunali di Messina, Trapani, Gela e Siracusa, e della Dia di Palermo e Trapani, ed esaminando oltre 130 atti giudiziari e un campione di 1.602 imprese siciliane che nell'ultimo quindicennio sono state in vario modo sotto la lente dei palazzi di giustizia) è emerso che in Sicilia chi paga meno agli esattori delle cosche sono i dettaglianti del commercio, che versano in media 457 euro al mese. Per i commercianti all'ingrosso la cifra sale a 508 euro. Più su nella piramide del pizzo si trovano alberghi e ristoranti, che solitamente erogano 578 euro al mese. Il top spetta al settore delle costruzioni, che paga una percentuale sull'importo dell'appalto, in media, tra il 2 e il 4%.

Alla presentazione dell'indagine, assieme a Giovanni e Caterina Chinnici, figli del giudice, e al generale delle Fiamme gialle Antonio Rametta, presidente della fondazione, erano presenti il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, Francesco Messineo, procuratore della Repubblica di Palermo e il generale Cosimo Sasso, direttore della Dia.
Sul tema del racket delle estorsioni, il procuratore Grasso ha detto: ''I tempi di risarcimento delle vittime delle estorsioni sono troppo lunghi, bisogna lavorare per accorciarli, soprattutto tenendo conto del fatto che siamo l'unico Paese ad avere una legge che prevede una riparazione per chi subisce il pizzo''. ''Molti imprenditori - ha aggiunto - a cui era stato chiesto cosa li avessi sorpresi di più spostando le loro attività economiche da Nord a Sud hanno risposto 'la lentezza della pubblica amministrazione', non il racket''. ''Occorre - ha proseguito - fare in modo che tutto il contesto aiuti chi investa al Sud e deve avere un risarcimento''. ''Ad esempio - ha concluso Grasso - è giusto pubblicizzare i tanti casi positivi di chi ha il coraggio di denunciare. Tra i costi imposti alle vittime del racket c'è da calcolare il cosiddetto costo della paura: alludo a ciò che si spende per proteggersi dalla criminalità''. Il magistrato ha detto infine che ''l'esperienza fatta da procuratore di Palermo mi ha insegnato che ogni volta che il cittadino si rivolge alle forze dell'ordine gli estorsori si arrestano''. ''Spesso - ha concluso - si considera il pizzo un costo di esercizio dell'attività e si tira a campare. In questo senso è necessario un cambiamento culturale''.

 

 

 

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23 giugno 2007
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