Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Il ''loro'' Senatore

Marcello Dell'Utri: ''Massimo Ciancimino? E' un falso Ciancimino, perché quello vero era il padre, che non ha mai detto niente''

03 febbraio 2010

La svolta nella trattativa tra la mafia e lo Stato sarebbe arrivata con la cattura di Totò Riina. Fu allora che sarebbero cambiati i fini e i referenti, mutate le alleanze e si sarebbero consumati i tradimenti. Fu allora che i vecchi garanti come don Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo che teneva aperto il dialogo con i carabinieri, sarebbero stati "posati" e sostituiti da un nuovo interlocutore, "un grande architetto": Marcello Dell'Utri, anche lui siciliano, braccio destro di Silvio Berlusconi in Publitalia. Si è agli inizi del '93. Gli equilibri politici stanno mutando e la mafia, che non vuole disperdere il patrimonio elettorale della Democrazia Cristiana, si guarda intorno alla ricerca di nuove forze da appoggiare.

Massimo Ciancimino
non parla mai espressamente di Forza Italia, durante la sua seconda giornata da testimone ufficiale nel processo per favoreggiamento mafioso all'ex vicecomandante dei carabinieri del Ros Mario Mori. Non parla di Forza Italia, ma fa il nome di Marcello Dell'Utri. Dichiarazioni pesanti, alle quali Dell'Utri ha replicato così: "Non mi interessa e non mi inquieta tanto quello che dice un Ciancimino, che è un falso Ciancimino, perché quello vero era il padre, che non ha mai detto niente e chissà perché questo invece fa il garante. Quello che mi inquieta è sapere chi gestisce questo Ciancimino. Ci sarà qualcuno che lo gestisce nell'interesse di Ciancimino e di qualcun altro che vuole buttare fango su di me e sul presidente Berlusconi".
Per il resto, le cose dette dal teste, per Dell'Utri sono "inventate, inverosimili, impossibili. Domando: chi le vuole tirare fuori così, diciamo, in maniera brutale? Da parte mia c'é assoluta tranquillità". Uno dei suoi legali aggiunge: "Massimo Ciancimino cerca di accreditarsi presso la Procura di Palermo, vendendo un prodotto che non ha, per potere preservare in modo concreto il patrimonio, sicuramente ingente, che detiene all'estero".

Dell'Utri, secondo Massimo Ciancimino, sarebbe entrato in scena nella seconda fase della trattativa. La prima si era conclusa con la cattura di Riina. Al boss latitante da 24 anni, il Ros di Mario Mori sarebbe arrivato grazie a don Vito e al capomafia Bernardo Provenzano. Il padrino stragista che aveva voluto gli eccidi di Capaci e via D'Amelio, l'autore dell'irricevibile "papello", non aveva intenzione di fermarsi, voleva altri morti. Per questo l'ex sindaco e Provenzano, certi che la strategia del sangue avrebbe fatto danni irreparabili, lo "consegnarono". Il braccio destro di Mori, il capitano Giuseppe De Donno, fece avere le mappe catastali di Palermo all'ex sindaco. Lui le passò a Provenzano, al quale, per il suo intervento, fu assicurata l'impunità. Il padrino le restituì a Ciancimino con un cerchio giallo proprio sul covo di via Bernini, in cui il 15 gennaio 1993 venne catturato Riina. Le mappe vennero ridate al Ros che andò a colpo sicuro. In cambio, i carabinieri assicurarono un trattamento soft ai familiari di Riina, che tornarono a Corleone indisturbati, e che il covo non venisse perquisito.
Al colonnello Sergio De Caprio, il 'capitano Ultimo' che fu tra i protagonisti dell'arresto di Riina, le parole di Ciancimino fanno venire in mente un ricordo d'infanzia: "Quando ero piccolo, dopo la cena, mi mettevo con mio nonno accanto al fuoco e lui mi raccontava delle storie bellissime. Soprattutto dopo che aveva bevuto due o tre bicchieri di vino". Per il resto si limita a ribadire che "é chiaramente falso che Riina sia stato arrestato in seguito alle dichiarazioni di Bernardo Provenzano. Ciancimino è uno dei tanti servi di Riina. Ed è grave che all'interno delle istituzioni vi sia qualcuno che legittima questo servo di Riina".
Sta di fatto che una volta eliminato il capomafia stragista, don Vito non servì più, racconta il figlio. E i militari gli tesero una trappola convincendolo a chiedere un passaporto: gesto che venne interpretato come emblematico di una volontà di fuga dall'Italia dell'ex sindaco, che era ai domiciliari, e indusse la polizia ad arrestarlo. Un piano ordito per togliere di scena Ciancimino senior e discutere con altri. Chi?, chiede il pm a Ciancimino. "Dell'Utri", risponde il teste. "Mio padre me lo disse dopo anni che era lui il nuovo referente". Via l'ex sindaco del sacco edilizio di Palermo, dunque, "dentro" Dell'Utri, che avrebbe trattato direttamente con Bernardo Provenzano. "I due si conoscevano, si incontravano" racconta Cincimino jr. Una certezza, la sua, secondo i pm, riscontrata dai "pizzini" che il boss scrisse al padre e che il testimone ha consegnato pochi mesi fa alla Procura. Sui bigliettini è in corso una perizia della Scientifica e la loro autenticità è tutta da dimostrare. In uno dei due messaggi il boss scrisse all'ex sindaco di avere parlato "al nostro amico senatore" del provvedimento di amnistia in cui Ciancimino sperava da tempo. "Mio padre - ha spiegato Massimo - disse che il senatore era Dell'Utri". In un secondo biglietto il boss tornò sul provvedimento di clemenza per i detenuti di mafia, sostenendo che se ne stavano interessando il sen. e il pres. (il presidente della Regione Salvatore Cuffaro, spiega il teste n.d.r.). Ma Dell'Utri, all'epoca, ancora non sedeva sui banchi di Palazzo Madama. Nessuno l'obietta a Massimo che, giocando d'anticipo, specifica: "mio padre disse che Provenzano era solito chiamare tutti senatori in omaggio a quel senatore (Andreotti n.d.r.)".

Tutti calunniano il senatore - Intanto, ieri mattina i difensori di Marcello Dell'Utri, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico, hanno depositato agli atti del processo d'appello al politico per calunnia aggravata, un'intercettazione di una conversazione fra due pentiti napoletani: Giuseppe Pagano e Carmine Schiavone. Contestualmente i legali hanno chiesto l'esame dei due collaboratori. La corte d'appello di Palermo si è riservata e deciderà l'8 marzo. Nella telefonata, Schiavone racconta a Pagano che funzionari del Servizio di protezione dei collaboratori di giustizia avevano cercato di convincerlo ad accusare Berlusconi. A questo punto Pagano avrebbe consigliato all'altro pentito di fare come gli avevano detto, ma Schiavone si sarebbe rifiutato sostenendo che lui Berlusconi non lo conosceva. Oggetto del processo in corso in appello, a Palermo, è il piano, ordito, secondo l'accusa, da Dell'Utri per screditare i pentiti palermitani Francesco Di Carlo, Francesco Onorato e Giuseppe Guglielmini che l'avevano accusato nel dibattimento in cui era imputato di concorso in associazione mafiosa. Per lo scopo l'ex manager Fininvest si sarebbe servito di Cosimo Cirfeta, che assieme a lui fu rinviato a giudizio per calunnia e che nel frattempo è deceduto, e che aveva sostenuto di avere saputo di un complotto dei tre collaboratori contro il senatore. L'intercettazione depositata ieri è stata già acquisita agli atti di un altro procedimento penale poi archiviato perché Schiavone si è avvalso della facoltà di non rispondere e non ha confermato la vicenda.

Nella conversazione intercettata, che risale al 3 gennaio 2002 e che i legali di Dell'Utri hanno chiesto di produrre, Schiavone sostiene che l'ex capo del Servizio centrale di protezione, Francesco Cirillo (ex questore di Palermo), lo avrebbe sollecitato ad accusare Silvio Berlusconi, ritrattando le accuse contro Domenico Foglia, già dirigente della Dia ed ex stretto collaboratore di Cirillo. "Tu non lo hai toccato proprio, a Berlusconi", diceva Pagano al telefono. E Schiavone: "Quello me lo voleva fare accusare Cirillo e non lo volli accusare. Mi disse: 'Al posto di accusare Foglia, perché non accusi Berlusconi?'. Io gli dissi: 'Perché lo dovrei accusare se non lo conosco?'. E glielo dirò pure là sopra. Gli dirò che questi del Servizio centrale di protezione mi volevano fare accusare a Berlusconi!". Pagano: "No, non fare tarantelle". Schiavone: "Io non devo fare tarantelle? Quella è la verità!".
L'indagine fu però archiviata su richiesta della Dda di Napoli: da un lato Schiavone si rifiutò di confermare le proprie dichiarazioni, avvalendosi della facoltà di non rispondere; dall'altro apparve inverosimile che Cirillo avesse chiesto a Schiavone di accusare Berlusconi. L'ex camorrista, arrestato nel 1992 e pentito dal '93, avrebbe infatti potuto parlare solo di fatti anteriori al '92, quando Berlusconi - si legge nella richiesta di archiviazione del pm Raffaele Cantone, accolta dal Gip Rosa Romano, l'8 ottobre 2002 - "non rivestiva alcuna carica politica ed era un imprenditore del settore della televisione, particolarmente noto". Le parole di Schiavone appaiono dunque come "niente altro che uno sfogo, fatto evidentemente andando un po' oltre le righe".

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it]

- IL TESTIMONE (Guidasicilia.it, 02/02/10)

 

 

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

03 febbraio 2010
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia