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Il Ministero della Difesa ha annunciato che l'Italia andrà via dall'Iraq entro la fine del 2006

Tutto, comunque, dipenderà anche dai piani di Onu e Nato e dai bisogni dell'Iraq

23 gennaio 2006

L'Italia andrà via dall'Iraq entro il 2006. La missione ''Antica Babilonia'', varata dal Parlamento nella primavera 2003 e che ha visto la partecipazione alle operazioni post-belliche in Iraq di un contingente di circa 3 mila soldati italiani - dislocati soprattutto a Nassiriya, nel sud del Paese - sarà conclusa entro il 2006. E già entro giugno le truppe saranno ridotte di circa un terzo.
Questo è stato detto dal ministro della Difesa, Antonio Martino, davanti alle commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato, in occasione della discussione del provvedimento di proroga, per il primo semestre di quest'anno, della missione italiana in Iraq, la più importante per quantità di truppe impegnate. Una riconfigurazione del contingente italiano in Iraq che non dipenderà da un ''calendario avulso'' ma, a detta del ministro, da una ''dinamica complessiva secondo i piani Onu, Nato e del governo iracheno''.

Secondo il ministro della Difesa i militari italiani hanno ''definitivamente compiuto la propria missione'' e per questo è ora possibile pensare ad un rientro a più fasi. Come già annunciato nelle settimane scorse, i primi 300 soldati rientreranno già nelle prossime settimane, mentre un più corposo contingente di 1.000 uomini sarà rimpatriato entro l'estate. Alla fine del 2006 le truppe avranno completato il ritiro, realizzando quella che il ministro definisce ''la degna conclusione di un'operazione coronata dal successo''.
Martino ha tenuto a precisare che il disimpegno ''non è un ritiro, parola che non appartiene al nostro vocabolario''. Sarà, al contrario ''un rientro dignitoso e giusto''.
Inoltre, ha aggiunto il ministro, ''Siamo in condizioni di assumere la responsabilità della direzione e della gestione di un eventuale futuro team di ricostruzione nella provincia del Dhi Qar fino al 2007, un impegno a prevalente caratterizzazione civile, che non escluderà una presenza militare, del tutto distinta dall'attuale, per garantire le irrinunciabili condizioni di sicurezza agli operatori civili''.

Martino ha poi criticato chi dal centrosinistra ancora insiste per un rientro immediato di tutto il contingente: ''Ci chiediamo - ha affermato - se coloro che parlano di ritiro immediato sappiano che significherebbe abbandonare gli iracheni, demoralizzare le nostre truppe, tradire la memoria di quanti hanno sacrificato la propria vita, aggravare il quadro di sicurezza, con il rischio che attacchi armati, omicidi, rapimenti degenerino in una guerra civile. Potrebbe essere interpretato come un segno di cedimento, come una resa al terrorismo''.
Altrettanto critica l'opposizione che non trova sufficiente il programma esposto dal ministro.
Marco Minniti, Ds: ''Nel programma illustrato dal ministro la prima fase, quella della riduzione del contingente, appare certa. La seconda, invece, è abbastanza condizionata. E' più un auspicio che un progetto unitario del rientro del nostro contingente. Anzi, ogni decisione finale viene rimandata al nuovo Parlamento e al nuovo governo. Se saremo noi in maggioranza, se gli italiani ci daranno la fiducia, ci penseremo noi a completare questo processo''.
Paolo Cento, Verdi: ''Martino parla della fine di una missione e dell'inizio di altre. Resta oscuro il ruolo del nostro Paese''.
Ugo Intini, Sdi: ''Tutto fa credere che la missione italiana in Iraq non si concluderà alla fine del 2006. Le stragi continuano e non è chiaro se l'esercito iracheno sia un esercito nazionale o un insieme di milizie''.
Franco Giordano, Rifondazione comunista: ''La decisione del governo è dettata dal fallimento di una politica militare e dalla pressione dell'opinione pubblica all'approssimarsi delle elezioni''.

L'annuncio del ritiro italiano non ha sorpreso chi sta dall'altra parte dell'Oceano. La Casa Bianca e il Pentagono hanno, anzi, ringraziato l'Italia per l'apporto dato dalle sue truppe in Iraq. Il Pentagono si è detto grato all'Italia, ''che è stata e continua ad essere un alleato risoluto nella guerra globale al terrorismo''. Il Pentagono ha inoltre ribadito come ''la decisione sul tipo e la durata dei contributi dei partner della coalizione resti affidata a ogni paese''. Gli Usa, afferma il Pentagono, apprezzano il contributo dato dall'Italia ''nel sostenere la democrazia e la libertà''.

E dopo le dichiarazioni del ministro della Difesa italiano, ha parlato anche il governatore di Nassiriya, Aziz Kadum Aluan Al Aghely, che ha precisato: ''La cosa importante è che il ritiro dei militari italiani sia graduale e avvenga in maniera bilanciata alla formazione delle nostre forze di sicurezza''. Il capo dell'amministrazione nella città dove si concentra la presenza militare italiana, ha parlato ai giornalisti poco prima del meeting con gli imprenditori del nostro paese arrivati nella provincia di Dhi Qar per porre le basi dell'intervento ''civile italiano'', fase che secondo il ministro italiano dovrà seguire al ritiro del contingente militare dal Paese.
''Ho parlato con il ministro Martino - ha aggiunto il governatore - e la strategia della riconfigurazione del contingente è stata concordata. Quello che è importante - ha ribadito - è che il ritiro sia graduale e che ci sia un bilanciamento effettivo''.
Il governatore ha poi apprezzato la presenza degli imprenditori italiani arrivati a Nassiriya. ''La situazione si sta stabilizzando - ha detto - abbiamo bisogno di materie prime e macchinari per la ricostruzione. Ci aspettiamo degli investimenti da cui trarranno vantaggio sia gli iracheni sia gli italiani''.

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23 gennaio 2006
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