Il 'pacchetto sicurezza' spacchettato dalla Consulta
La Corte Costituzionale ha bocciato un altro articolo della legge 38 del 2009. Il ministro Maroni: "E' un gravissimo errore"
Il "pacchetto sicurezza", ovvero la legge 38 del 2009 che ha convertito il decreto in tema di "misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori", è finito ancora una volta nel mirino della Corte Costituzionale. Dopo aver bocciato la norma sui super poteri ai sindaci, i giudici della Consulta hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale di un altro articolo, ossia l'obbligo per il giudice di disporre la sola custodia cautelare in carcere - e non anche misure alternative come ad esempio la detenzione domiciliare - quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per il reato di omicidio volontario. Analoga decisione era stata presa lo scorso anno dalla Corte Costituzionale per quanto riguarda i procedimenti per violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e prostituzione minorile, rispetto ai quali il "pacchetto sicurezza" aveva operato una stretta prevedendo l'obbligo di custodia cautelare in carcere e non anche la possibilità di misure alternative.
La Consulta - accogliendo i giudizi di legittimità costituzionale promossi dal gip del tribunale di Milano e dal tribunale di Lecce - ritiene illegittimo l'articolo di legge nella parte in cui, prevedendo che "quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 575 del codice penale - cioè l'omicidio - è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari", tuttavia "non fa salva altresì l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al fatto concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure".
La norma del 'pacchetto sicurezza' è stata bocciata per "ingiustificata parificazione" (violazione dell'art. 3 della Costituizione) dell'omicidio volontario ai delitti di mafia, gli unici per i quali la Consulta e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno ritenuto giustificabile la "presunzione assoluta" di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere. Obbligo, questo, che secondo i giudici costituzionali viola anche la presunzione di non colpevolezza (art.27 della Costituzione), oltre che le riserve di legge e di giurisdizione (art.13).
Due i casi concreti che hanno poi portato alla dichiarazione di illegittimità, relativo alla reclusione in carcere per omicidio. Il tribunale di Lecce era stato investito della questione dal difensore di una persona imputata di omicidio volontario in concorso. Dopo la convalida di un provvedimento di fermo, era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere con ordinanza del gip; a seguito dell'impugnazione del difensore, il tribunale aveva disposto la sostituzione della misura con gli arresti domiciliari. Entrato in vigore il decreto legge, il pm aveva chiesto e ottenuto il ripristino della misura carceraria, alla luce della nuova disciplina. Identica questione di illegittimità costituzionale era stata sollevata davanti alla Consulta dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi sull'istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, presentata dal difensore di un imputato, condannato in primo grado a dieci anni di reclusione per concorso in omicidio volontario.
Immediata la reazione del ministro dell'Interno Roberto Maroni: "Sono francamente allibito da questa decisione". "La norma era che chi commette un omicidio deve rimanere in carcere e non avere la possibilità di misure alternative, e questa ci sembrava e mi sembra una misura efficace perché chi commette un reato così grave non merita benefici", ha affermato Maroni. Invece quello che la Corte ha deciso su alcune norme del 'pacchetto sicurezza' "mi sembra gravissimo", perché "ha dichiarato che anche chi commette un omicidio volontario può tornarsene libero a casa sua e magari commettere un altro omicidio", ha accusato il ministro. Per questo "io sono allibito da questa decisione che non condivido", ha ribadito Maroni, sottolineando che si tratta di "un gravissimo errore che mina le misure che abbiamo preso a tutela della sicurezza dei cittadini".
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Corriere.it]