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Il Paese delle disuguaglianze

L'Istat sulla povertà in Italia: al Sud è povera una famiglia su quattro

23 maggio 2012

Ancora forti disuguaglianze in tema di povertà: al Sud sono povere 23 famiglie su 100, al Nord 4,9. E' solo uno dei dati raccolti nel rapporto annuale Istat sulla povertà relativa, che riguarda la spesa media effettuata dalle famiglie. Il 67% delle famiglie e il 68,2% delle persone povere risiedono nel Mezzogiorno.
Proprio nel Mezzogiorno a una più ampia diffusione del fenomeno si accompagna una maggiore gravità del disagio: l'intensità della povertà raggiunge, infatti, il 21,5%, contro il 18,4% osservato nel Nord. Particolarmente grave risulta la condizione della famiglie residenti in Basilicata, Sicilia e Calabria.
E' poi peggiorata la condizione delle famiglie più numerose: in condizione di povertà relativa vive il 29,9% delle famiglie con cinque o più componenti (+7% rispetto al 1997). Nelle famiglie con almeno un minore l'incidenza della povertà è del 15,9% e complessivamente vivono in condizioni di povertà relativa 1 milione e 876 mila minori. Diminuisce invece, dal 1997 al 2010, la povertà nelle famiglie con a capo un anziano: l'incidenza di povertà scende dal 16-17% al 12,2%. I separati e i divorziati, osserva l'istituto di statistica, sono più esposti al rischio povertà (20,1%), rispetto ai coniugati (15,6%). Le ex mogli sono più esposte (24%) rispetto agli ex mariti (15,3%).

L'Istat fotografa una nazione dove si vive sempre più a lungo e in buona salute (gli uomini vivono in media 79,4 anni e le donne 84,5), anche se si continuano a fare pochi figli (1,42 per donna) e sempre più tardi, e le disuguaglianze tra generi non accennano a finire (soprattutto per quanto riguarda i redditi).
Un popolo meno formica a causa della crisi, che esce sempre più tardi dalla famiglia (il 40% tra i 25 e i 34 anni sta ancora a casa con mamma e papà) e con una mobilità sociale praticamente bloccata.
Un Paese dove la quota degli immigrati è sempre più elevata (6,3 ogni cento residenti), dove si consuma più suolo che nel resto d'Europa e dove i Neet (ovvero i giovani che non studiano e non lavorano) hanno raggiunto quota 2,1 milioni.
Un paese ancora una volta diviso tra Nord e Sud, soprattutto per quanto riguarda i servizi ai cittadini. Il tutto sullo sfondo di una crisi che non accenna a finire e della brusca frenata dell'economia italiana, che si riflette in un accresciuto rischio di credit crunch soprattutto per le Pmi.

In quest'ottica, sono tante le analogie con la crisi del 1992, tali che si potrebbe concludere che in vent'anni nulla è cambiato. In questi venti anni la performance di crescita dell'economia italiana è risultata inferiore a quella dei principali partner europei, con un divario che si è ulteriormente allargato nel periodo più recente.
Importanti riflessi ci sono stati sia sulla capacità di consumo e di risparmio delle famiglie, sia sulla sostenibilità dei nostri conti pubblici. Inoltre, è venuto sempre meno nell'ultimo ventennio il modello di famiglia tradizionale, fatta da coniugi con figli, anche nel Mezzogiorno, un tempo roccaforte del vecchio nucleo familiare. Nell'attuale fase ciclica, sottolinea l'Istat, l'aumento delle esportazioni costituisce la principale componente a sostegno della crescita del Pil italiano.
L'istituto di statistica sottolinea come nel Belpaese l'incertezza che segna l'attuale fase ciclica e l'attività produttiva inutilizzata costituiscono un fattore di freno alle decisioni di investimento delle imprese, sulle quali pesano anche le difficoltà incontrate nell'accesso al credito bancario, soprattutto per le Pmi. In particolare, nei comparti della manifattura e dei servizi sembrano emergere indizi di credit crunch tra la fine del 2011 e il primo trimestre 2012. Nel 2011 il tasso d'inflazione è quasi raddoppiato rispetto all'anno precedente e l'aumento dei prezzi dei prodotti acquistati più frequentemente è stato particolarmente elevato.
Dopo un biennio di discesa, nel 2011 l'occupazione ha registrato un leggero aumento: alla crescita dell'occupazione straniera si è accompagnata una diminuzione di quella italiana. E' proseguita la diminuzione dell'occupazione giovanile e di quella a tempo pieno, mentre è continuato l'aumento del lavoro part time, ma si tratta soprattutto di un impiego accettato in mancanza di un lavoro a tempo pieno.

[Informazioni tratte da Ansa, Adnkronos/Ign]

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23 maggio 2012
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