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Il 'papello' e le assicurzioni di Ciancimino jr.

''Tutto l'apporto cartaceo e verbale che potrò dare ai magistrati lo darò sempre''

31 luglio 2009

Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, è stato interrogato dai pm della Dda di Palermo Nino Di Matteo e Paolo Guido e dal procuratore aggiunto Roberto Scarpinato. Il verbale di interrogatorio di Ciancimino jr, che da mesi rende dichiarazioni, tra l'altro, su una presunta trattativa tra Stato e mafia, che avrebbe visto protagonista il padre e ufficiali dei carabinieri, è stato secretato.
Ciancimino jr., condannato a 5 anni e 8 mesi per avere riciclato parte del tesoro di famiglia, avrebbe consegnato ai magistrati palermitani alcuni documenti. Nelle scorse settimane, Ciancimino aveva promesso ai pm che avrebbe consegnato loro il cosiddetto 'papello' con le richieste che Riina avrebbe fatto allo Stato in cambio della fine della strategia stragista di Cosa nostra.
"Sul 'papello' non posso rispondere, ma come ho già detto altre volte non sarà mai per un atteggiamento di mio diniego il far mancare documenti a magistratura", ha affermato Massimo Ciancimino rispondendo alle domande dei giornalisti. "Tutto l'apporto cartaceo e verbale che potrò dare - ha aggiunto Ciancimino che da Palermo si è recato al Palazzo di Giustizia di Catania per essere sentito dai magistrati della Procura etnea - lo darò sempre. Se è cambiato il clima nella lotta alla mafia? Me lo auguro, ma non posso diventare oggi né moralizzatore né interprete di logiche della mafia".
Massimo Ciancimino non ha voluto rivelare i temi del suo interrogatorio da parte della Procura di Catania: "Non posso dire nulla - ha affermato - per rispetto delle persone che mi interrogano".

L'ex procuratore Pierluigi Vigna: "Il papello esiste ma lo Stato non accettò il ricatto della mafia" -
"Il papello esiste, ma lo Stato non accettò il ricatto della mafia. Troppi politici alludono a scenari occulti ma non vanno oltre. Perché non fare una commissione d'inchiesta sulle stragi di allora?".
Pierluigi Vigna, ex procuratore dell'antimafia, parla - attraverso le pagine di Liberal, precisando che le sue sono osservazioni esterne alle indagini perché in pensione - di "un silenzio tombale durato fino ad oggi, fino a quando Totò Riina dichiara che con la strage di via d'Amelio lui non c'entra niente, niente con la presunta trattativa tra Stato e mafia per mettere fine all'offensiva stragista di Cosa nostra".
"Già Riina interrompe il suo proverbiale silenzio - dice Vigna - ma per fare dichiarazioni intorbidanti. L'affermazione di Riina, riportata dal suo avvocato, che nella strage di via d'Amelio sarebbero implicati servizi deviati non è altro che nebbia, perché uno che non ammette nemmeno i delitti o l'esistenza storica di Cosa nostra non è uno attendibile. Parla si, ma per dire cosa? Per coprire chi?". "Una delle idee che mi sono fatto - aggiunge Vigna - è che, avendo saputo che Gaspare Spatuzza sta rendendo dichiarazioni, lui voglia con queste frasi fumogene coprire qualcuno che possa essere raggiunto dalle dichiarazioni di Spatuzza, oppure vuol fare solo confusione ripetendo cose trite e mai provate. I magistrati sono andati a sentirlo ma non mi pare che abbiano ottenuto molto da lui". Anche se Riina facesse delle provocazioni, Vigna ritiene siano "provocazioni che risvegliano qualcosa di irrisolto. Sassi in un vespaio non bonificato dalla luce della verita". "E' molto impressionante, negativamente impressionante - dice Vigna - che personaggi politici che in gran parte stimo dicano questo, ma non vadano oltre. Anche perché con le allusioni i processi non si fanno. Più volte di fronte all'insoddisfazione dei parenti delle vittime, mi sono chiesto perché non si costituisce una commissione parlamentare d'inchiesta per fare luce su certe presunte collusioni".
"L'esistenza del papello - secondo l'ex procuratore antimafia - è dimostrata proprio dagli attentati del '93. Dalle stragi che la mafia mette a segno nel continente. La mafia voleva che il governo e il parlamento eliminassero la legge sui collaboratori, il 41 bis e il sequestro e la confisca dei beni riconducibili a Cosa nostra. Le bombe esplodono perche' lo Stato non accetta quelle condizioni e procede per la sua strada. La risposta della mafia è durissima, i suoi sono attentati - conclude - di una tipologia particolarmente odiosa. Ci si era accorti che le uccisioni dei giudici non erano risolutive, i giudici si possono sostituire. Invece le opere d'arte, il patrimonio artistico dello Stato non è riproducibile, è una ferita nella psicologia del Paese oltre che un colpo profondo al turismo".

[Informazioni tratte da Ansa.it]

- "Sparita una prova dei contatti fra Stato e mafia" di Attilio Bolzoni e Francesco Viviano (Repubblica.it)

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31 luglio 2009
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