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Il "papello" era per Nicola Mancino

La verità del pentito Giovanni Brusca nell'udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia

02 febbraio 2013

Ha negato di aver ritrovato la memoria su particolari mai svelati prima, per salvarsi dall'indagine per riciclaggio in cui è stato coinvolto nel 2010, e ha definito il boss Totò Riina il suo "maestro d'arte".
E’ cominciata così, ieri nel bunker del carcere di Rebibbia, la deposizione del pentito Giovanni Brusca all'udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia. Brusca, che è uno dei 10 imputati, è stato citato dal Gup di Palermo, Piergiorgio Morosini, che ha disposto integrazioni probatorie.
Il collaboratore di giustizia, che nel 2010 venne accusato di avere occultato e reinvestito parte del suo tesoro sottratto agli inquirenti, ha sostenuto di essersi deciso a dire tutta la verità dopo avere incontrato i familiari di alcune vittime della mafia.
Tra le sue verità, quelle sul vero destinatario del "papello", il foglio contenente le richieste avanzate da Cosa nostra allo Stato per fare terminare, dopo la strage di Capaci, la strategia stragista della mafia.

"L'ultimo destinatario del 'papello' di Totò Rina era Nicola Mancino", ha detto Brusca. L’ex ministro dell’Interno Mancino, è imputato con l'accusa di falsa testimonianza. Alla sbarra anche lo stesso Brusca ma anche il generale Mario Mori e Marcello Dell'Utri.
Nel corso della lunga deposizione, Brusca ha poi confermato con assoluta certezza che Riina gli avrebbe parlato del 'papello' con le richieste della mafia allo Stato "dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D'Amelio". L'ex boss di San Giuseppe Jato ha specificato anche che Riina gli avrebbe detto che il papello "era stato in quel momento non solo scritto, ma anche consegnato".

Il 'papello' è un foglio di carta bianco, con dodici pun­ti scritti a mano, in stampatel­lo, senza errori di ortografia tranne uno (fragranza invece di flagranza), con calligrafia chiara. Una calligrafia che non sembra appartenere né a Riina né a Bernardo Proven­zano.
Secondo i racconti di Massimo Ciancimino, lui lo ritirò chiuso in una busta, in un bar di Mondello, dal medico condanna­to per mafia Antonino Cinà. Lo portò a suo padre e poi lo rivide nelle mani del misterioso "si­gnor Franco", o "Carlo", l'uomo mai identificato dei servizi segre­ti che avrebbe partecipato alla trattativa. L'intermediario disse a Vito Cian­cimino che poteva andare avanti, e l'ex sindaco ordinò al figlio di combinare un altro appuntamen­to con Mario Mori e Giuseppe De Donno, del Ros. Entrambi sono imputati el procedimento. A loro diede il papello, e a riprova di ciò, come ha sempre detto Ciancimino junior, sull'originale del documen­to è applicato un post-it scritto a mano dal padre dove si legge "Consegnato in copia spontanea­mente al col. Mori, dei carabinie­ri dei Ros". Ma l'originale non l'hanno mai visto i magistrati.

"Nel 1992 Totò Riina, tramite Salvatore Biondino, mi diede l'incarico di uccidere Calogero Mannino ma poi l'incarico mi venne revocato", ha spiegato il pentito, continuando a deporre. Secondo i magistrati l'incarico venne revocato perché Mannino sarebbe stato tra i protagonisti della trattativa tra Stato e mafia per fare cessare la strategia stragista di Cosa nostra. L'ex ministro ha chiesto e ottenuto di essere processato col rito abbreviato e la sua posizione è stata perciò stralciata.

"Io non ho mai parlato di Luciano Violante", ha detto inoltre Brusca, sostenendo di non aver "mai fatto" il nome dell'ex presidente della Camera e della Commissione nazionale Antimafia. E per dimostrarlo ha prodotto in aula un verbale di un suo interrogatorio che risale al 28 agosto del 1996.

E ancora, secondo Brusca l'eurodeputato della Dc Salvo Lima fu ucciso dalla mafia per colpire indirettamente il capo della sua corrente, Giulio Andreotti. "Con l'omicidio Lima si voleva colpire politicamente Andreotti", ha affermato Brusca.
Salvo Lima, leader degli andreottiani in Sicilia occidentale, fu assassinato a Palermo il 12 marzo del 1992, e secondo le tesi della Procura venne eliminato per non aver garantito a Cosa nostra un esito positivo del primo maxiprocesso. L'agguato si consumò a poche settimane dalle elezioni politiche del 5 aprile del 1992. E con riferimento a quel voto, Brusca ha aggiunto: "Nell'aprile del '92 non avevamo preferenze politiche e neppure indicazioni. Volevamo solo distruggere la corrente andreottiana".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, GdS.it, Repubblica/Palermo.it]

- "Trattativa e ragion di Stato" (Guidasicilia.it, 10/01/13)

- Trattativa Stato-mafia: chiesto rinvio a giudizio per gli 11 imputati (Guidasicilia.it, 10/01/13)

- Una difficile decisione (Guidasicilia.it, 25/01/13)

 

 

 

 

 

 

 

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02 febbraio 2013
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