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IL ''PAPELLO'' (II puntata)

Massimo Ciancimino rivela: ''Il 'papello' era nella mia cassaforte a Palermo fino al 2005''

15 luglio 2009

Quindi, il figlio di don Vito ha promesso di consegnare ai magistrati il "papello". "Questa volta ve lo porterò davvero, questa volta non faccio bluff", ha assicurato Massimo Ciancimino in uno dei suoi ultimi interrogatorio, dopo un tira e molla durato un anno (LEGGI).
Intanto, oggi si scopre che la lista di richieste che la mafia avrebbe avanzato nel 1992 fra le stragi Falcone e Borsellino a uomini delle istituzioni per vantaggi in favore di Cosa nostra, il "papello" appunto, Ciancimino jr. lo avrebbe conservato fino al 2005 nella cassaforte di casa sua a Palermo. Gli investigatori, nel corso di una perquisizione domiciliare, non controllarono però il forziere blindato. Un particolare che è emerso dall'interrogatorio al quale il dichiarante è stato sottoposto ieri dalla procura di Catania, nell'ambito di un'inchiesta che coinvolge anche professionisti e imprenditori di Palermo.

Massimo Ciancimino, rispondendo alle domande del procuratore della Repubblica Vincenzo D'Agata e del sostituto Antonino Fanara, ha ricordato che durante la prima perquisizione alla quale è stato sottoposto nel 2005, nell'ambito dell'inchiesta sfociata nella condanna per riciclaggio a cinque anni e otto mesi, gli investigatori non aprirono la cassaforte della sua abitazione. Secondo il figlio di don Vito, nel forziere vi erano diversi appunti del padre, compreso il "papello".
Massimo Ciancimino é stato interrogato per diverse ore dal procuratore di Catania, nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza che coinvolge anche imprenditori e  professionisti di Palermo. Nel procedimento denominato "D'Anna+17", vengono contestati agli indagati le accuse di  calunnia, rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, diffamazione e concorso esterno in associazione mafiosa. I magistrati hanno chiesto al figlio di don Vito anche della lettera sequestrata nel 2005 dai carabinieri in un magazzino di Ciancimino, in cui si fa riferimento a richieste che la mafia avrebbe rivolto "all'onorevole Berlusconi", contornate da minacce di morte per i suoi familiari (LEGGI). [ANSA]

"HO TUTTE LE CARTE CHE SPIEGANO IL PATTO MAFIA-STATO"
di
Attilio Bolzoni e Francesco Viviano (Repubblica.it, 15 luglio 2009)

Conferma che consegnerà il "papello" di Totò Riina, racconta di un dossier di don Vito con la dicitura "Carabinieri", svela che tutte le carte segrete erano conservate in una cassaforte della sua villa di Mondello e che "stranamente" alcuni ufficiali dell'Arma non l'aprirono. E poi ricorda di "alti magistrati che incontravano mio padre e Salvo Lima per aggiustare processi". Parla Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso, il testimone che con le sue verità sta facendo tremare Palermo.

Quando si libererà di quell'"atto" - il papello - con il quale il capo dei capi della mafia di Corleone nell'estate del 1992 stava ricattando lo Stato?
"Al più presto, appena possibile lo darò ai magistrati palermitani che mi stanno interrogando da un anno. Ma non consegnerò solo il papello, ci sono altri documenti di mio padre... gli servivano per un libro che non ha mai scritto".

Dov'erano e dove sono custodite tutte queste carte di suo padre, compreso il papello?
"Adesso sono in un luogo sicuro, fino a quattro anni fa erano nella cassaforte della mia casa a Mondello. I carabinieri un giorno fecero una perquisizione - io ero a Parigi, volevo prendere il primo aereo per Palermo e presentarmi ma loro mi dissero che non c'era bisogno - però non aprirono la cassaforte. Non so perché. Eppure era ben visibile, era nella stanza della tata del mio bambino. Quel giorno aprirono la cassaforte nella casa del professore Giovanni Lapis, il commercialista di mio padre che era stato indagato con me. Ma stranamente non la mia".

Lei sta raccontando tanto dal giugno del 2008, si sente un pentito?
"Io non mi devo pentire di niente, sono altri che devono farlo. Io sto semplicemente cercando di ricostruire certe vicende. E lo farò con la documentazione, non soltanto a parole. Lo farò anche con il papello".

Chi dovrebbe pentirsi?
"Alcune persone... i loro nomi li ho già fatti ai magistrati e tutto è stato secretato. C'è stato uno strabismo investigativo... ne ho parlato con i magistrati Ingroia e Di Matteo: si è voluto guardare solo da una parte".

Cosa ha svelato ai magistrati in questi ultimi mesi?
"Ho parlato degli incontri di Bernardo Provenzano con mio padre. E poi ho parlato della famosa trattativa fra Stato e Mafia: ho messo a verbale che anch'io, direttamente, ho partecipato con mio padre alla cattura di Totò Riina nel 1993. Lo stesso Riina deve avere saputo qualcosa attraverso i suoi canali, durante un'udienza infatti ha detto che era stato "venduto" dal figlio di Ciancimino...".

In quell'occasione Riina fece anche il nome dell'allora ministro degli Interni, Nicola Mancino: cosa c'entra in questa vicenda?
"Ho parlato del senatore Mancino con i magistrati di Caltanissetta, ma non posso dire nulla di più".

Con chi trattò suo padre per la cattura di Riina?
"Con il colonnello Mori e con il capitano De Donno, ma mio padre non si fidava di loro, erano sì influenti ma lui - che non era certo un deficiente - cercò di capire chi ci fosse sopra. Fu un certo 'signor Franco', un agente dei servizi segreti, a dire a mio padre che dietro c'era un personaggio politico".

Perché Ciancimino non si fidava dei due ufficiali dell'Arma?
"Non si fidava molto dei carabinieri perché una loro inchiesta, quella su mafia e appalti, era stata abilmente occultata da esponenti politici e da magistrati vicini a mio padre. Per questo cercava altre garanzie in quella trattativa pericolossima".

Chi erano questi politici e questi magistrati?
"Ai procuratori ho raccontato di summit fra mio padre, l'onorevole Salvo Lima e l'onorevole Mario D'Acquisto con alcuni procuratori e giudici di Palermo - che ormai sono in pensione - con i quali tutti insieme studiavano i piani per favorire certi uomini politici e i loro amici".

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15 luglio 2009
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