Il pentimento di Giovanni Brusca
Niente sconti di pena per l'uomo che aveva in testa di ammazzare Lirio Abbate, Carlo De Benedetti, Antonio Di Pietro...
Lo status di collaboratore di giustizia non fa scattare automaticamente in ogni processo uno sconto di pena. Lo ha sottolineato la Cassazione nel dichiarare inammissibile il ricorso presentato dalla difesa del collaboratore di giustizia, il boss di Cosa nostra Giovanni Brusca, che chiedeva appunto l'applicazione delle attenuanti generiche per il contributo da lui dato in relazione ad un'ingente quantitativo di armi sequestrato in Italia.
Secondo la Cassazione (seconda sezione penale, sentenza 12738) "non ha alcun rilievo il fatto che Brusca sia un collaboratore di giustizia, che non è uno status che impone in ogni processo l'attribuzione dell'attenuante". In particolare la Suprema Corte rileva che lo sconto di pena sarebbe applicabile "solo nell'ipotesi che l'imputato si fosse adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e abbia coadiuvato concretamente gli organi inquirenti nella raccolta degli elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per la cattura degli autori dei delitti".
Per i fatti in questione Brusca è stato condannato dalla Corte d'Appello di Palermo, nel febbraio 2010, a 13 anni di reclusione per associazione mafiosa a Cosa nostra. Nel caso in questione, piazza Cavour rileva ancora come "le indicazioni rese" da Brusca siano state "solo meramente generiche a fronte dell'importanza dell'arsenale per i fini delittuosi di Cosa nostra, dato che non consentiva al capo mandamento di San Giuseppe Jato di non essere depositario di informazioni più specifiche circa la provenienza delle armi, la loro utilizzazione, le persone che avevano partecipato alla costruzione del bunker e che avevano accesso al nascondiglio delle armi micidiali". Da qui l'inammissibilità del ricorso di Brusca, condannato pure a sborsare mille euro alla Cassa delle ammende.
Negli ultimi giorni, Giovanni Brusca ha avuto un posto d'onore nelle cronache dei giornali anche per il contenuto di alcune intercettazioni. Intercettazioni che parlano chiaro: un anno fa, quando Giovanni Brusca era inserito nel programma di protezione dei pentiti, in certi ambienti criminali si discuteva ancora di stragi e omicidi per fare tacere. E nell’occhio di un progetto specifico tra Cosa nostra, 'ndrangheta e Camorra, era finito il giornalista palermitano de "L’Espresso", Lirio Abbate. Secondo quanto riportato dal quotidiano "La Stampa", su Abbate (come su Di Pietro o De Benedetti), ci sarebbe stato un disegno preciso: una relazione dei servizi segreti in possesso della Procura di Messina segnalerebbe un incontro tra un avvocato palermitano e un esponente della 'ndrangheta. A quest’ultimo, sarebbe stato chiesto il "favore" di eliminare Lirio Abbate.
Appresa la notizia, le voci politiche che si sono alzate per porgere la solidarietà ad Abbate, sono state quelle dei senatori Beppe Lumia (Pd) e Carlo Vizzini (Pdl). "Che Lirio Abbate ed una serie di magistrati delle Procure Antimafia siano invisi alla mafia, comunque denominata, è cosa nota - ha detto Vizzini - Se però risponde al vero che vi siano relazioni su incontri tra 'ndrangheta e mediatori per affrontare problemi come l’eliminazione del giornalista Abbate, il 'problema Spatuzza' ed il 'problema 41bis', come oggi scrive un quotidiano nazionale, è cosa gravissima".
"Esprimo la mia piena solidarietà - ha invece dichiarato Lumia - ad Antonio Di Pietro, Carlo De Benedetti e al giornalista Lirio Abbate. La notizia di un piano della mafia per eliminarli e di un summit tra Cosa nostra, 'Ndrangheta e Camorra ci dice che le organizzazioni criminali sono in allerta, pronte a riorganizzarsi e colpire. Ecco perché è sbagliato pensare che la guerra sia quasi vinta. Contro le mafie non si può mai abbassare la guardia, anzi bisogna tenere alto il livello di attenzione e aumentare la capacità repressiva dello Stato".
- Lirio Abbate: "Cosa nostra spara se scrivi dei suoi affari" (Il Fatto Quotidiano)
- Brusca: "Bisognerebbe uccidere De Benedetti..." di Salvo Palazzolo (Repubblica/Palermo.it)