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Il pizzo a chi aderisce ad un'associazione antiracket? Solo camurrie

Il neo-pentito Giuseppe Di Maio, legato al clan di Santa Maria del Gesù, spiega le preoccupazioni di Cosa nostra

30 aprile 2010

C'è un nuovo pentito a Palermo. Si tratta di Giuseppe Di Maio, 33 anni, della Guadagna, appartenente alla coesa e irriducibile famiglia di Santa Maria di Gesù. L'uomo, genero del boss Giuseppe Lo Bocchiaro, con cui era stato arrestato nell'operazione "Paesan blues" del 10 marzo scorso, che aveva fatto luce sui rapporti con Cosa nostra americana, era incaricato delle estorsioni nella zona di via Oreto e via Perez, territorio dove raccoglieva regolarmente il pizzo dai commercianti della zona.
Per il neo collaborante, che adesso è stato trasferito in un altro carcere, sono immediatamente scattati i meccanismi di protezione che vengono garantiti a tutti i dissociati dall’organizzazione mafiosa: revoca del difensore, trasferimento di carcere e protezione per i familiari, i quali, già contrari all’affiliazione di Di Maio, hanno rifiutato misure di sicurezza e anzi hanno pubblicamente preso le distanze da qualsiasi tipo di legame con Cosa Nostra.
Di Maio era stato affiliato dal suocero solo lo scorso 6 novembre e in quell'occasione la moglie si era opposta a questa scelta, in quanto provata dalle vicessitudini del padre e del fratello, giungendo anche a minacciare di lasciare il marito per proteggere i figli. Con tutta probabilità la posizione espressa in questi giorni è sostenuta dalla stessa motivazione.

Il pentimento di Di Maio rappresenta, anche simbolicamente, uno smacco assai significativo per la famiglia di Santa Maria del Gesù, guidata fino al 1997 da Pietro Aglieri, dato che erano stati pochissimi i casi di dissociazione in questa famiglia considerata anzi tra le più compatte e impermeabili.
Ed è veramente interessante una delle affermazioni trapelate da quanto in questi giorni Di Maio sta raccontando ai magistrati. Il neo collaboratore ha infatti spiegato che la mafia di oggi è intimorita da chi denuncia il racket. "Se un commerciante aderisce ad Addiopizzo o ad un’associazione antiracket non ci andiamo, non gli chiediamo niente. Sono più le camurrie (le problematiche, ndr) che i soldi che si incassano". Insomma, Di Maio con questa frase ha lanciato un messaggio di speranza a chi lotta contro il racket o ne è vittima. "C’è molta preoccupazione fra di noi - ha detto il pentito, che era un estortore in servizio permanente –. Se ci sono le denunce, poi si fanno le indagini, mettono le microspie e dunque è meglio evitare".

Dunque, se la paura della mafia sta superando quella dei commercianti, è confermato che la via della legalità a Palermo paga. E' per questo motivo che Enrico Colaianni, presidente di Libero Futuro, la prima associazione antiracket palermitana, ha detto chiaramente, rivolgendosi a chiunque paga: "E' il momento di rompere gli indugi. E’ il momento decisivo. Chi non denuncia, a questo punto, non lo fa per paura, ma per convenienza". Quanto detto da Di Maio "è la conferma di quello che abbiamo sempre pensato e detto – ha continuato Colajanni – La denuncia preventiva è un deterrente alla mafia; i mafiosi hanno paura. Quando il pentito Pasta o il pentito Di Maio dicono che hanno paura di chiedere il pizzo a chi aderisce ad Addio Pizzo, è una grande conferma che esiste un modo diligente di resistere. Ciò che mi preme sottolineare è dire ai commercianti di collaborare alle indagini con le forze dell’ordine. Chi paga il pizzo deve denunciare per uscire presto fuori da questa situazione. In Via Oreto i commercianti, dopo queste dichiarazioni di Di Maio, devono farsi un esame di coscienza. Non c’è più spazio per l’omertà, è il momento della denuncia collettiva".

[Informazioni tratte da AGI, GdS.it, LiveSicilia.it]

 

 

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30 aprile 2010
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