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Il pizzo, l'omertà e la paura. A Palermo continuano gli incendi appiccati dalla mafia

I negozianti hanno troppa paura e nessuno denuncia

13 gennaio 2005

In una Palermo deserta, poco prima delle 22 di domenica scorsa, durante la partita che vedeva in campo il Palermo e il Milan, qualcuno ha dato fuoco alle saracinesche di un'autoscuola e di un'agenzia nautica, entrambe in via Principe di Scordia, al Borgo Vecchio, distanti l'una dall'altra da non più di una ventina di metri.
La prima cosa a cui pensare è il racket delle estorsioni, e difatti le indagini sono state subito avviate proprio in quel verso.

Ovvio che in questa prima fase delle indagini si tratta soltanto di una supposizione, ma è chiaro che la natura del danneggiamento e la zona in cui questo si è verificato - il Borgo Vecchio è fra i quartieri più battuti dalle indagini antiracket - lasciano supporre che la spiegazione di tutto vada ricercata proprio nell'attività della mafia delle estorsioni e gli inquirenti sperano presto di suffragarla con elementi importanti.
Tuttavia a Palermo la maggior parte dei negozianti interpellati da investigatori e magistrati risponde sempre di non essere stata mai minacciata da nessuno. E sembrerebbe sia questa la verità, visto che  negli ultimi quattro mesi, ad esempio, il telefono antiracket della Confcommercio non ha squillato nemmeno una volta, e se dopo l'ultima inchiesta sul pizzo (35 arresti) i commercianti di via Oreto e della Guadagna hanno negato di avere mai pagato il pizzo.
Insomma, a Palermo per gli inquirenti, che sanno bene qual'è la realtà dei fatti, le indagini sul racket delle estorsioni risultano sempre difficoltose.

L'omertà causata dalla paura non cede davanti nessuna garanzia. In una nota, il presidente della Confesercenti, Giovanni Felice, scrive che ''l'attuale normativa antiracket non ha determinato l'auspicato aumento delle denunce che, anzi, risultano in flessione, né si registra un aumento di collaborazione degli imprenditori vessati nonostante l'impegno e i risultati positivi conseguiti da magistratura e forze dell'ordine''. Secondo Giovanni Felice ''occorrono modifiche legislative che mirino ad incentivare il rapporto di collaborazione tra imprenditori e forze dell'ordine perché si corre il rischio di vanificare importanti risultati investigativi e di rendere ancora più difficile il lavoro delle forze dell'ordine''.
Roberto Helg, presidente di Confcommercio, cita il suo telefono antiracket per dare un'idea della situazione. ''In quattro mesi l'unica telefonata che abbiamo ricevuto è stata quella di un imprenditore che ci invitava a intervenire con le banche perché non riusciva a ottenere i fidi. Per il resto il telefono non ha mai squillato''. Fenomeni come quelli avvenuti domenica scorsa, aggiunge Helg, dimostrano che ''gli imprenditori hanno ancora troppa paura. L'obiettivo delle forze dell'ordine e delle associazioni di categoria deve essere quello di avere la meglio su questo muro di silenzio. Ma serve, lo ripeto, la collaborazione di tutti''.

''Il silenzio dei commercianti contribuisce ad alimentare il veloce ricambio di manovalanza di cui si serve la mafia per taglieggiare a tappeto negozi e imprese. - afferma Maurizio De Lucia, sostituto procuratore della Dda e titolare di numerose inchieste antiracket compresa quella che il mese scorso ha portato a 35 arresti - La denuncia renderebbe inutile anche il ricambio, ma purtroppo le cose vanno diversamente. Siamo sempre allo stesso punto, la gente non parla''. ''Le denunce ribalterebbero la situazione, ma la mafia approfitta del contesto sociale. In una situazione in cui nessuno offre lavoro vero, l'alternativa del guadagno facile e sicuro ha successo, costituisce un formidabile richiamo. Ma è ovvio che in presenza di un muro compatto da parte di commercianti e imprenditori, Cosa nostra avrebbe serie difficoltà a rimpiazzare la gente che via via finisce in carcere''.

- Addio Pizzo

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13 gennaio 2005
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