Il primo sospettato dell'omicidio Fragalà ha fornito un alibi...
Mentre si aspettano i risultati delle analisi del Ris, dal carcere alcuni boss sostengono che la mafia non c'entra
Il primo sospettato dell'omicidio di Enzo Fragalà è stato rilasciato: avrebbe un alibi. Dopo essere stato interrogato dai Carabinieri l'uomo è stato lasciato andare a casa. Il primo indagato per l'assassinio del legale palermitano è un uomo di 50 anni, ex buttafuori in una sala bingo ora impiegato nel negozio di profumi della sua compagna. Nella sua abitazione i carabinieri hanno trovato due caschi da motocliclista, un giubotto e sopratutto un bastone di rattan, compatibile con l'arma usata dal killer e trovato durante la perquisizione, che adesso è all'esame del Ris.
Dunque, quella che si sperava potesse essere una svolta nelle indagini, potrebbe essere soltanto un abbaglio. Comunque, una certezza per poter emanare un primo "verdetto" di assoluzione o colpevolezza del commerciante palermitano di 50 anni la si aspetta dai risultati degli esami scientifici del Ris di Messina.
Oggi gli esperti dell'Arma hanno cominciato ad analizzare abiti, scarpe, caschi da moto sequestrati nell'abitazione dell'uomo, un ex cliente del legale, e soprattutto quel bastone di rattan, solitamente usato nelle arti marziali, compatibile con l'arma usata dal killer. Una scoperta resa ancor più inquietante dal fatto che il commerciante sarebbe un appassionato di lotta orientale e avrebbe una stazza corrispondente a quella dell'aggressore, descritto dai testimoni oculari come un uomo corpulento.
Ma il bastone e la stazza sono solo due degli indizi a carico dell'uomo. Nelle sue vicende giudiziarie, infatti, potrebbe essere scritto il movente dell'omicidio. Anni fa finì in carcere per detenzione illegale di arma: fu trovato con un fucile con matricola abrasa e affidò a Fragalà la sua difesa. Solo che le cose non andarono come il legale gli aveva garantito e a nulla gli valse l'avere indicato il nome della persona che gli aveva dato l'arma. L'uomo rimase in cella per un anno. E pagò all'avvocato una parcella salata. Motivi sufficienti per indurlo a massacrare con una inaudita brutalità il penalista?
Il sospettato ha fermamente negato ed ha fornito agli investigatori un alibi per la sera del delitto. La versione sarebbe confermata anche dalla convivente, ma i carabinieri stanno ancora cercando riscontri, rimanendo cauti circa il suo coinvolgimento nel delitto.
Intanto ai primi quattro testimoni se ne sono aggiunti degli altri. Si tratta di alcuni passanti e residenti che si trovavano in via Nicolò Turrisi quando il penalista è stato aggredito, non appena sceso dal suo studio legale.
Sono stati sentiti dai carabinieri del nucleo investigativo di Palermo e avrebbero confermato la descrizione dell'assassino - un uomo alto un metro e 90, dalla corporatura massiccia - aggiungendo nuovi tasselli alla ricostruzione, definiti significativi dagli inquirenti. In particolare, sarebbero riusciti a vedere il percorso fatto dall'aggressore per dileguarsi.
Anche dai boss in carcere sono arrivati alcuni segnali. "Con l'uccisione dell'avvocato Fragalà noi non c'entriamo". È questa la 'voce' raccolta in carcere dai difensori di alcuni boss detenuti. L'indiscrezione confermerebbe che la selvaggia aggressione al penalista, massacrato a colpi di spranga davanti al suo studio, non avrebbe una matrice mafiosa. Un concetto ribadito ieri in aula, sia pure indirettamente, dal boss Gaetano Fidanzati, processato insieme ad altre cinque persone per l'omicidio del genero, Giovanni Bucaro, ucciso a bastonate in una strada di Palermo. "Per ammazzarlo avrei avuto altri modi", si è difeso il boss arrestato a Milano lo scorso dicembre. Un modo per sostenere che la mafia non uccide a colpi di spranga.
[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it]