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Il Processo del Secolo

Arriva oggi in Cassazione il processo per mafia al senatore a vita Giulio Andreotti

14 ottobre 2004

Arriva oggi in Cassazione, undici anni dopo la richiesta di autorizzazione a procedere, avanzata dalla Procura diretta da Giancarlo Caselli, quello che nel 1993 era stato definito il "processo del secolo": il processo per mafia al senatore a vita Giulio Andreotti.
Un dibattimento durato tanto che per arrivare alla conclusione di secoli ne ha dovuto attraversare addirittura due.
"Mi auguro di arrivare in vita fino alla fine", aveva detto Giulio Andreotti, e sicuramente esserci è per lui il risultato più importante.

In Cassazione approda oggi un caso controverso, l'uomo più rappresentativo della prima Repubblica, definito da alcuni "l'eminenza grigia della politica italiana", dopo essere stato  assolto con formula piena per l'uccisione del giornalista Mino Pecorelli, è chiamato adesso a rispondere dell'accusa di avere stretto con la mafia un patto scellerato. O comunque, come sostiene la sentenza d'appello, "che avrebbe mantenuto verso Cosa nostra un atteggiamento di amichevole disponibilità". Almeno fino al 1980. Poi avrebbe cambiato registro e si sarebbe anzi impegnato a promuovere iniziative rigorose contro i boss.

La difesa ha sempre parlato di un processo senza prove e giudicato le tesi accusatorie "inconsistenti" e addirittuea basate su "fatti inesistenti".
Il senatore, sette volte presidente del Consiglio, non si è limitato a rivendicare un coerente impegno antimafia, ha anche sostenuto che le iniziative legislative adottate dai suoi governi non sarebbero il frutto di una politica del "doppio gioco" o del "doppio binario" ma di una scelta radicalmente "contraria agli interessi di Cosa nostra", e perciò chiede un' assoluzione piena che cancelli ogni ombra di dubbio sul suo impegno contro la mafia.
Il processo era cominciato, in un'aula gremita e davanti alle televisioni di tutto il mondo, il 26 settembre 1995. In primo grado si era concluso il 23 ottobre 1999 con una sentenza di assoluzione. In appello la corte presieduta da Salvatore Scaduti, il 2 maggio 2003, aveva scelto una soluzione più articolata: prescrizione per i fatti contestati fino al 1980 e assoluzione per il periodo successivo. I giudici hanno in sostanza distinto, nella vita di Andreotti, un "primo periodo" caratterizzato da relazioni di scambio con le cosche e un "secondo periodo" di segno opposto.
La tesi di fondo dell'accusa è sostenuta dalle dichiarazioni di 37 pentiti, da Tommaso Buscetta a Nino Giuffrè.

I perni principali del rapporto tra Andreotti e la mafia sarebbero stati l'eurodeputato Salvo Lima, capo della corrente in Sicilia ucciso nel 1992, e gli esattori Nino e Ignazio Salvo.
Attraverso i loro canali il senatore si sarebbe assunto il ruolo di grande "referente" delle cosche. E lo avrebbe fatto, sottolinea la sentenza d'appello, con la "piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni mafiosi".
Nella ricostruzione dell'accusa ha trovato spazio anche un episodio poi giudicato "inverosimile", riferito da Balduccio Di Maggio: il famoso "bacio" con Totò Riina. L'incontro avrebbe dovuto suggellare l'impegno di Andreotti per un "aggiustamento" del Maxi Processo.
La richiesta della mafia sarebbe stata preceduta da segnali pesanti. Nel 1986 avrebbe mandato un "avvertimento" alla Dc dirottando sul Psi e sui radicali un consistente pacchetto di voti.

Ma quando la Cassazione confermò le condanne per la "cupola", Cosa nostra avrebbe inviato al senatore altri messaggi terrificanti: prima fu ucciso Salvo Lima, poi Ignazio Salvo. Questa parte dell'impianto accusatorio non ha però retto al giudizio della corte d'appello secondo la quale la rottura tra Andreotti e Cosa nostra si sarebbe consumata oltre vent'anni prima.
L'episodio cruciale è stato rintracciato nell'uccisione del presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, avvenuta il 6 gennaio del 1980. I giudici definiscono "eroico" l'impegno di Mattarella teso a riportare in un contesto di legalità l'attività della Regione Sicilia. I boss erano per questo irritati e avrebbero chiesto al senatore di "trovare una soluzione politica". In caso contrario, avrebbero risolto la questione in modo "cruento".

Dopo una prima sottovalutazione Andreotti, ha raccontato il pentito Francesco Marino Mannoia, si sarebbe "precipitato" in Sicilia per tentare una mediazione incontrando il boss Stefano Bontade in una riserva di caccia del costruttore catanese Carmelo Costanzo. Mattarella fu assassinato lo stesso e Andreotti, che pure era un avversario politico del presidente della Regione, ne rimase sconvolto. Da quel momento, è detto nella sentenza d'appello, l'atteggiamento del senatore nei confronti di Cosa nostra sarebbe cambiato.


Ecco una cronologia essenziale del caso
Giulio Andreotti apprese da Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato, che la Procura di Palermo aveva chiesto l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Era il 27 marzo 1993, prima tappa di una lunga vicenda giudiziaria che a distanza di undici anni è ora sul punto di concludersi in Cassazione.

27 marzo 1993: la Procura di Palermo invia ad Andreotti un avviso di garanzia per associazione per delinquere e concorso in associazione mafiosa.
30 giugno 1993: la Giunta del Senato concede, su richiesta dello stesso Andreotti, l'autorizzazione a procedere.
21 maggio 1994: la Procura di Palermo chiede il rinvio a giudizio del senatore.
2 marzo 1995: viene cambiata l' imputazione originaria; Andreotti è rinviato a giudizio per associazione mafiosa.
26 settembre 1995: nell'aula bunker dell'Ucciardone comincia il processo di primo grado.      
8 aprile 1999: il pm Roberto Scarpinato chiede la condanna di Andreotti a 15 anni.
23 ottobre 1999: dopo 11 giorni di camera di consiglio la quinta sezione del tribunale di Palermo, presieduta da Francesco Ingargiola, assolve Andreotti perché il fatto non sussiste.
6 maggio 2000: il tribunale rende note le motivazioni della sentenza.
19 aprile 2001: comincia il processo d'appello ma l'udienza viene subito rinviata all'11 ottobre 2001.
25 ottobre 2001: comincia la requisitoria che proseguirà per otto udienze.
14 marzo 2002: il pg Anna Maria Leone chiede la condanna di Andreotti a 10 anni.
18 aprile 2002: cominciano le arringhe difensive che proseguiranno per undici udienze.
16 gennaio 2003: la corte d'appello, presieduta da Salvatore Scaduti, sospende la discussione per sentire l'ultimo pentito Antonino Giuffrè.
14 marzo 2003: audizione dell'aspirante collaboratore Pino Lipari, descritto dall'accusa come un ''depistatore''.
4 aprile 2003: la difesa chiede l'assoluzione di Andreotti perché il fatto non sussiste e deposita una memoria di oltre 1200 pagine.
2 maggio 2003: la corte d'appello assolve Andreotti perché il fatto non sussiste dall'accusa di associazione mafiosa e dichiara prescritte le imputazioni per i fatti antecedenti alla primavera del 1980.
25 luglio 2003: la corte deposita la sentenza d'appello: le motivazioni sono contenute in 1520 pagine, suddivise in 6 volumi e 45 capitoli. (ANSA)

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14 ottobre 2004
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