Il processo sulla trattativa Stato-mafia deve rimanere a Palermo
La Procura del capoluogo ritiene infondate le eccezioni sollevate dalla difesa
La competenza a giudicare il processo sulla trattativa Stato-mafia è della Corte d'Assise di Palermo. Lo ribadisce la Procura che ha chiesto alla corte che celebra il dibattimento che vengano respinte tutte le eccezioni di incompetenza sollevate alla scorsa udienza dai legali degli imputati: boss, ex politici come Marcello Dell'Utri e gli ufficiali dell'Arma Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe de Donno, accusati a vario titolo di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato, e l'ex ministro Nicola Mancino, imputato di falsa testimonianza.
Nei loro interventi i difensori avevano obiettato sia sulla competenza della Corte d'assise, sostenendo che il titolare del processo dovrebbe essere il tribunale, sia su quella dell'autorità giudiziaria di Palermo, ritenendo competenti alcuni Roma, altri Firenze.
Per il pm Roberto Tartaglia, che ha concluso per la Procura, non sarebbero fondate nemmeno le eccezioni di nullità del capo di imputazione in quanto generico e del decreto che dispone il giudizio che, a dire dei legali, sarebbe stato indebitamente motivato. "Non si trattava di motivazione tecnica", ha detto il pm.
Da respingere per il magistrato anche l'istanza di stralcio e trasferimento della posizione di Mancino al tribunale dei Ministri sollevata dai suoi legali. "Manca la coincidenza tra esercizio della funzione di ministro e il fatto contestato: quando Mancino ha fatto la falsa testimonianza - ha sostenuto Tartaglia - non era ministro".
Nella scorsa udienza, i legali dell'ex ministro Nicola Mancino, hanno chiesto il trasferimento del procedimento al tribunale dei ministri sostenendo l'incompetenza funzionale della corte. "Si tratta di un reato ministeriale - ha detto l'avvocato Massimo Krogh - e va giudicato da un giudice specializzato. Una falsa testimonianza resa su fatti accaduti quando Mancino era al dicastero del Viminale rientra nella competenza del tribunale dei ministri".
Per respingere la tesi dei legali sull'incompetenza della corte d'assise - i difensori avevano sostenuto che la ragione dell'attribuzione di competenza alla corte, che era la contestazione al boss Bernardo Provenzano dell'omicidio Lima, fosse venuta meno in quanto la posizione del capomafia era stata stralciata da quella degli altri imputati - il pm ha citato una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione. I giudici romani, in un provvedimento depositato a giugno, hanno sostenuto che la connessione tra procedimenti - connessione che ci sarebbe tra l'omicidio dell'eurodeputato Salvo Lima e la trattativa - si instaura quando questi siano pendenti contemporaneamente non rilevando un eventuale stralcio.
Per il pm Nino Di Matteo, intervenuto dopo Tartaglia, il processo deve restare a Palermo perché a Palermo venne commesso il primo tra i reati più gravi, l'omicidio Lima, consumati nell'ambito della strategia che portò alla trattativa.
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it]