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Il procuratore Giancarlo Caselli sulla mancata perquisizione del covo di Totò Riina

Caselli ieri al tribunale di Palermo per il processo che coinvolge Mario Mori e Sergio De Caprio

08 novembre 2005

Il procuratore generale di Torino Giancarlo Caselli ha iniziato poco prima delle 10 di ieri mattina a deporre davanti al tribunale di Palermo nel processo relativo alla mancata perquisizione del covo di Totò Riina subito dopo l'arresto del boss il 15 gennaio del 1993. Proprio quel giorno Caselli si era insediato come capo della Procura di Palermo.
Gli imputati sono il prefetto Mario Mori, direttore del Sisde e all'epoca comandante del Ros dei carabinieri, il tenente colonnello Sergio De Caprio, l'ex ''Capitano Ultimo'' che catturò Riina. Nei loro confronti l'imputazione è di favoreggiamento di Cosa Nostra.

''Il Ros decise autonomamente, senza che la Procura ne fosse informata, di cessare le attività di sorveglianza sulla villa di via Bernini'', il covo di Totò Riina. Lo ha detto l'ex procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli, deponendo al processo. Caselli, interrogato dal pm Antonio Ingroia, suo ex collega, ha ripercorso in poco meno di due ore tutti i momenti dal suo arrivo a Palermo, avvenuto proprio il giorno dell'arresto di Riina il 15 gennaio del '93, fino alla perquisizione del covo avvenuta soltanto il 2 febbraio del '93, cioè quasi tre settimane dopo l'arresto.
L'ex procuratore di Palermo ha ricordato anche un altro particolare, la perquisizione al Fondo Gelsomino come diversivo: secondo il magistrato, questa operazione faceva intendere che il Ros stava proseguendo l'osservazione del covo.

Secondo l'accusa, la mancata perquisizione del covo avrebbe permesso agli uomini di Cosa nostra di entrare nella villa di via Bernini per portare via elementi di prova importanti. ''Il giorno della perquisizione - ha detto Caselli - ero molto arrabbiato perché qualcuno era riuscito ad entrare prima di noi, ma ero anche molto preoccupato perché temevo il riesplodere di veleni dentro la Procura di Palermo. Ero venuto a Palermo proprio per ricomporre le lacerazioni che c'erano state e temevo che questo fatto potesse creare nuove divisioni. Per fortuna, non è avvenuto perché abbiamo fatto tutti insieme un documento congiunto, così le mie preoccupazioni svanirono perché avevamo una squadra compatta che è andata oltre a questo fatto''.

Fonte: La Sicilia

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08 novembre 2005
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