Il ragazzo con la bicicletta
I fratelli Dardenne a Cannes con una fiaba a lieto fine: Il ragazzo con la bicicletta è il loro Pinocchio
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IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA
di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Il 12enne Cyril è ossessionato dall'idea di ritrovare suo padre, che lo ha temporaneamente lasciato in un orfanotrofio. L'incontro con Samantha, una parrucchiera che lo accoglie in casa nei fine settimana, potrebbe far ritrovare al ragazzo un poco di quella serenità e calore utili a calmare la sua rabbia...
Anno 2011
Tit. Orig. Le gamin au vélo
Nazione Belgio, Francia, Italia
Produzione Jean-Pierre & Luc Dardenne, Denis Freyd e Andrea Occhipinti per Les Films du Fleuve, Archipel 35, Lucky Red, France 2 Cinéma, RTBF, BelgaCom
Distribuzione Lucky Red
Durata 87'
Regia e Sceneggiatura Jean-Pierre e Luc Dardenne
Con Cécile de France, Thomas Doret, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Egon Di Mateo, Olivier Gourmet
Genere Drammatico
In collaborazione con Filmtrailer.com
Il Pinocchio dei Dardenne, "La nostra favola, finalmente a lieto fine"
di Maria Pia Fusco (Repubblica.it)
«Non è un'epoca felice quella in cui viviamo, il mondo è pieno di persone sole, la crisi della famiglia istituzionale è parte della realtà, ma proprio per questo i nostri personaggi cercano l'aiuto di qualcuno, per ricostruire una famiglia diversa, come quella di Cyril e Samantha».
Jean-Pierre e Luc Dardenne sono in concorso per la quinta volta con 'Il ragazzo con la bicicletta'. «È la storia più semplice che abbiamo scritto, è nata da un racconto che ci hanno fatto in Giappone, la vicenda di un ragazzo vissuto per 18 anni in un istituto e una volta uscito, ha cominciato a cercare suo padre, non aveva mai rinunciato al sogno di trovarlo. Siamo partiti dal rapporto tra padre e figlia, uno dei nostri temi ricorrenti, poi abbiamo recuperato un personaggio di donna medico pensato per un'altra storia per delineare Samantha, che poi è diventata una parrucchiera», dicono i fratelli registi.
Il loro cinema si è affermato per la coerenza dei temi - famiglie disgregate, malesseri dell'età giovane, disagi sociali, ecc. - e per un preciso metodo di lavoro con l'uso di attori feticci e di un lungo periodo di prove prima delle riprese.
La novità in 'Il ragazzo con la bicicletta' è la presenza di un nome noto, Cécile De France. «Il film non spiega perché Samantha si prende cura di un ragazzo difficile, ostile, segnato dall'abbandono e avevamo bisogno di un'attrice conosciuta, amata. Cécile è così solare e luminosa che nessuno del pubblico può pensare che lo faccia per redimersi da qualcosa o per risolvere magari un problema di infanzia. La sua Samantha è solo una persona generosa e bella che segue un istinto. Un personaggio quasi provocatorio in un tempo dominato dall'egoismo».
A giudicare dallo scambio di belle parole tra l'attrice e i due Dardenne, dev'essere stato un incontro felice. «Come al solito prima di girare abbiamo fatto due settimane di prove sul set con tutti gli attori, negli ambienti veri del film, e dopo pochi giorni Cécile era già parte della "famiglia". E la sintonia che si è stabilita tra lei e Thomas Doret che interpreta Cyril è una ricchezza del film».
Un'altra novità è la luce del film. «In genere il nostro cinema è segnato dal grigiore invernale, nell'attesa del risveglio della primavera. Ma questo film è diverso. Ci sono i temi consueti, c'è il rapporto genitori-figli, la solitudine, la rabbia, la ribellione, temi che vengono in parte da esperienze personali ma per lo più dall'osservazione della realtà. Il ragazzo con la bicicletta potrebbe anche essere una favola: il bambino che cerca il padre, il bosco dove si perde, l'incontro con il cattivo, la salvezza con la fata buona. Lo stesso Cyril è un po' un Pinocchio. Deve attraversare delle prove attraverso le quali perde tutte le sue illusioni fino a diventare saggio. Ma per noi è soprattutto un incontro felice tra una donna e un ragazzino, una storia d'amore che non avevamo mai raccontato. Per questo abbiamo girato in estate, avevamo bisogno dei colori della vita».
La critica
"Dov'era il padre? Dove sono i padri nelle storie di cronaca e nella vita quotidiana, nei pensieri dei figli e nelle riunioni scolastiche? Assenti, lontani, incapaci di offrire né regole né protezione. Nella carrellata di trame dei film di Cannes, dove la famiglia torna nucleo del mondo, le figure dei padri sono in genere avvilenti. Falliti e acidi come nell'israeliano Footnote di Joseph Cedar, o distratti al limite della demenza come il padre di Kevin, che regala armi al figlioletto visibilmente già assai disturbato. Tutti terrorizzati dalla responsabilità nei confronti dei figli, reali o metaforici, che partono alla loro disperata ricerca. Così, dopo la rinuncia del Santo Padre in Moretti, in Le gamin au vélo dei fratelli Dardenne si assiste alla rinuncia altrettanto tragica di un padre povero cristo. Morta la nonna, Guy, un cuoco di bistrot, decide di sparire dalla vista del figlio dodicenne, Cyril, che finisce in un istituto. Qui viene a trovare ogni tanto il bambino una giovane parrucchiera, Samantha, che si offre di ospitarlo nei fine settimana. Cyril accetta soltanto per poter evadere dall'istituto e una volta fuori, montare sull'unico ricordo lasciatogli dal padre, una bici da cross, e mettersi alla sua ricerca. L'immagine di questo bambino tormentato che rincorre su una bicicletta la possibilità di una vita normale, l'amore del padre, l'amicizia, ha la semplicità e la forza del cinema di un tempo. La grandezza dei registi belgi sta nel non usare mai un trucco, una parola, un gesto che possa sfiorare il melodramma. In fondo a strade sbagliate e porte chiuse, dopo l'ultimo straziante negarsi del padre, il bambino capisce qual è la vera strada di casa e torna da Samantha, l'unica persona che ha dimostrato di sceglierlo e amarlo. Nella scena finale compare di passaggio un altro di quei padri che rivalutano la condizione di orfano. È noto come i film di Jean-Pierre e Luc Dardenne non siano passeggiate nel buonumore. Ma rispetto ai precedenti, molto amati a Cannes, dove i Dardenne hanno vinto la Palma due volte con Rosetta (1999) e L'enfant (2005), questo ragazzo con la bicicletta è un film più ottimista. Un Dardenne quasi solare, rispetto ai cupi paesaggi reali e psicologici del passato, girato in una Liegi rallegrata dalla luce dell'estate e dallo splendore di Cècile de France nella parte di Samantha. Ma il momento di massima luce del film è quando, dopo un'ora abbondante, il volto nervoso del piccolo e bravissimo protagonista, Thomas Doret, s'illumina del sorriso dell'infanzia."
Curzio Maltese, 'la Repubblica'
"Come ogni anno i fratelli belgi vengono a Cannes per ricordarci che ogni goccia d'acqua contiene l'oceano e ogni lacrima i drammi più grandi (...) Il ragazzo con la bicicletta è solo un nuovo pezzo che si aggiunge a una filmografia costituita da variazioni sul tema appena percettibili, però determinanti. E' sempre lo stesso film, la stessa storia, la stessa faccia. Tutti identici gli uni agli altri. Tutti così ridondanti."
Luis Martínez, 'El Mundo'
"Qui c'è uno sforzo di essenzialità e di intensità che va direttamente al cuore della loro scommessa di registi: raccontare la realtà attraverso la finzione. Balza all'occhio da certi particolari, da certe scene secondarie così che l'essenzialità della trama diventa una nuova qualità, capace di andare davvero all'essenza delle cose e di regalarci una inaspettata e inedita complessità narrativa, quella che trasforma il dramma di un adolescente in una specie di favola moderna (...)"
Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera'
"Il ragazzo con la bicicletta funziona come un film di inseguimenti con gli affetti al posto della solita trama da thriller. perché i bambini non lottano per chissà quali segreti o per salvare il mondo, ma per la vita stessa. Con un'innocenza, un abbandono, una sete di assoluto, che è anche una sfida alla nostra rassegnazione di adulti, inclini alla ragionevolezza e al compromesso."
Fabio Ferzetti, 'Il Mattino'
"E' uno dei loro film più azzeccati, e soprattutto ha un tono a tratti fiabesco che rende la visione assolutamente non punitiva (...). Anche lo stile è meno frenetico, la macchina a mano non fa venire il mal di testa (...)"
Alberto Crespi, 'l'Unità'
In concorso al 64mo Festival di Cannes (2011).