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Il Senato ha approvato la ''legge Pecorella'', legge che prevede l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione

13 gennaio 2006

Ieri, quattro mesi dopo il sì della Camera, la riforma dell'appello (la cosiddetta ''legge Pecorella'', dal nome dell'on. Gaetano Pecorella (Fi), presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio e difensore del premier, che prevede l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione) ha ottenuto anche il voto definitivo da parte del Senato.
A favore della nuova legge hanno votato i senatori della Cdl, mentre l'opposizione ha votato contro, accusando la maggioranza di essere ''servi del loro padrone''.
Appresa la notizia, il primo presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, si è detto ''sbigottito'': ''Una simile iniziativa legislativa distrugge la funzione assegnata alla Suprema Corte''.  Sull'impatto delle nuove regole, quando la legge sarà promulgata, Marvulli si augura ''che ci sia particolare attenzione ai problemi organizzativi legati a questo disastroso evento'', e parla di ''una legge contraria a quanto disposto dallo stesso Parlamento il 14 maggio del 2005'', quella sul processo civile in Cassazione. Di fatto, nel settore civile ci si comporterà in un modo, nel penale in un altro.

Prevedibile la conseguente reazione dell'Associazione nazionale magistrati: la legge ''è la coda velenosa di una legislatura nella quale la maggioranza di governo ha fatto praticamente terra bruciata della giustizia penale'', ha affermato il vicesegretario, Nello Rossi.

L'altro ieri, mentre l'aula del Senato (a stento, per mancanza del numero legale) procedeva all'esame del ddl, era giunta la notizia di un appello lanciato dal consiglio direttivo della rete delle Cassazioni europee, di cui anche l'Italia fa parte, appello più volte ricordato ieri, durante le dichiarazioni di voto, dai senatori dell'opposizione. E' stato Roberto Manzione, senatore della Margherita, a dire in aula: ''Sui giornali di oggi (ieri, ndr) viene pubblicato un appello rivolto dalla rete dei presidenti delle Supreme Corti di Europa, votato all'unanimità e diretto al governo e al Parlamento italiani'' ai quali si chiede ''di fermarsi a riflettere su una riforma che provocherà danni terribili a tutta la funzione giudiziaria italiana''.
La replica è subito giunta dal sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli, che ha parlato di ''pregiudizi ad personam della sinistra'', di ''polemiche inutili, strumentali e pretestuose''. ''Ogni volta che questo governo interviene in materia di giustizia - ha detto Santelli - la sinistra punta il dito contro Berlusconi e parla di legge ad personam. E' il loro giudizio che è sempre 'ad personam', e cioè pregiudizialmente sempre contro l'operato della maggioranza e del premier''.

E un appello contro la ''legge Pecorella'' è stato lanciato anche dal senatore della Margherita, Nando Dalla Chiesa, intervenendo nell'Aula del Senato, e proponendo il proprio dissenso in maniera molto originale. Infatti, l'intervento del sen. Dalla Chiesa, letto in aula, era scritto tutto in rima baciata...
Questo il testo del componimento:
''Bentornati senatori, dalle feste e dai ristori, tutti insieme per votare la gran legge secolare, la più urgente, la più bella legge, sì, la legge Pecorella. Ma quant'è curioso il mondo, nel suo gran girare in tondo, che fa nascere d'incanto una legge che può tanto. E la scrive un avvocato per salvare il suo imputato, che poi, caso assai moderno, è anche capo del Governo, mentre invece l'avvocato è un potente deputato.
Ah, che idea stupefacente, non si trova un precedente, è un esempio da manuale di cultura occidentale che sa metter le persone sopra la Costituzione. E ora è bello edificante che di voci ne
sian tante, di giuristi, ex magistrati, di causidici, avvocati, pronti, intrepidi, a spiegare che la legge è da votare, poiché vuole la dottrina che il diritto su una china più virtuosa scorrerà, se la norma si farà.
Ma pensate che bellezza per un reo, l'aver certezza che se il giudice è impaurito o corrotto o scimunito, potrà dar la soluzione senza alcuna sconfessione, che il processo finirà e un macigno calerà sull'accusa dello Stato e su chi subì reato. Che trionfo, che tripudio, e per Silvio che preludio ad una dolce terza età, l'assoluta impunità.
Bentornati senatori, per la fine dei lavori; cinque anni incominciati coi tesori detassati, poi vissuti con amore a far leggi di favore: rogatorie, suspicioni, lodi, falsi e prescrizioni, approvate in frenesia e con gran democrazia, che chi c'è non può parlare e chi è assente può votare. Mentre al pubblico in diretta lui giurava: "Date retta, se non si combina niente sui problemi della gente colpa è di opposizioni, Parlamento e Commissioni!".
Bravi voi che con tempismo combattete il comunismo, anche se nell'ossessione ce l'aveste una ragione: falsa è di Marx la tesi che lo Stato è dei borghesi; ci insegnaste voi del Polo che lo Stato è di uno solo. Or votando con l'inchino si completi il gran bottino delle leggi personali, questo sconcio senza eguali. Del dritto sia mattanza. Ma l'Italia ne ha abbastanza''
.

- ''Così Berlusconi eviterà il processo per il caso Sme'' di Luca Fazzo (Repubblica.it)

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13 gennaio 2006
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