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Il silenzio, ''colpevole'', sui due connazionali rapiti in Somalia

''Dovevamo mobilitarci noi''. L'autocritica di chi si era impegnato per altri sequestri

18 giugno 2008

Silenzio sui rapiti in Somalia
Indifferenza dovuta alla «mancanza di polemica fra schieramenti»
di Paolo Conti (Corriere.it, 18 giugno 2008)

L'ammissione più leale e sincera è di Valentino Parlato: «Noi del "manifesto" dovremmo sentirci in colpa. Non abbiamo fatto granché, per questi due rapiti in Somalia. Non siamo un Paese dalla moralità alta e diffusa. I due cooperanti vengono percepiti come "figli di nessuno", "poco importanti", quindi prevale l'insensibilità generale...».
Parlato è Parlato, chiude con una battuta amara come la vita: «Se io fossi sparito in Somalia, "il manifesto" si sarebbe mobilitato com'è accaduto per Giuliana..». Ovvero Giuliana Sgrena.

La domanda è ovvia: perché per Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini nessuno si mobilita? Perché il loro rapimento non riempie piazze e non agita "movimenti" com'è accaduto per Sgrena, Daniele Mastrogiacomo di "Repubblica", Clementina Cantoni, per le "due Simone"?
Risponde, come Parlato, con sincerità Vittorio Agnoletto, parlamentare europeo della Sinistra-Rifondazione: «Dobbiamo partire da una autocritica perché nessuno effettivamente si è mosso. Posso poi trovare alcune ragioni».
Per esempio? «Primo. Ora il "movimento" è più debole rispetto ai tempi degli altri rapimenti famosi. Secondo. Dal nostro punto di vista dobbiamo ammettere che siamo intervenuti in situazioni in cui, penso all'Iraq e all'Afghanistan, l'Italia era direttamente coinvolta in un conflitto. Quindi noi contrapponevamo l'intervento umanitario all'intervento armato e all'occupazione».
E poi, Agnoletto? «C'è anche una forte distrazione dei media che non ci sollecita alla mobilitazione per premere su un esecutivo a sua volta distrattissimo».

Leggermente diversa l'analisi di Enrico Deaglio, direttore de "Il diario", a suo tempo protagonista di una mobilitazione per la tragica vicenda di Enzo Baldoni: «Mi viene da sperare che il silenzio sia dovuto a una tacita richiesta di silenzio stampa della Farnesina per una possibile trattativa aperta».
Ma se così non fosse? «Allora dovremmo iscrivere la vicenda in un quadro ormai dominato dal sempre più profondo disinteresse generale verso ciò che non è legato all'interesse diretto dei singoli. Una constatazione molto, molto triste sulla condizione dell'Italia di oggi. Due sconosciuti? Nessuna mobilitazione...».

E poi c'è la Somalia, che è un «ginepraio», usando l'efficace definizione proposta da Gad Lerner: «La ragione della mancata mobilitazione per i due italiani in Somalia? Parliamo di un ginepraio nel quale è difficile assumere posizioni manichee, nette come per esempio sul-l'Iraq e sull'intervento italiano. Qui non c'è una polemica di schieramenti».
Ma basta per spiegare tanto silenzio? «No. C'è anche un altro dato. Ovvero la progressiva assuefazione italiana al peggio. Siamo nell'accettazione, senza alcuno spirito critico, di una serie di atrocità culturali impensabili fino a qualche tempo fa».
Per esempio? «Nel momento in cui si immagina un'autorità speciale per una singola etnia, cioè per gli zingari, la barbarie diventa un normale comportamento. Figuriamoci quale attenzione la collettività potrebbe dedicare alla sorte di due anonimi ostaggi in terra di Somalia...».

Conclusione affidata a Massimo Bordin, direttore di "Radio radicale", voce ufficiale di tante mobilitazioni pro-liberazioni di rapiti: «Abbiamo creduto all'esistenza di discutibili ma efficienti contatti locali per una svolta positiva. Ma ormai i tempi ragionevoli per un'attesa mi sembrano trascorsi e l'ottimismo sta finendo. Quindi urge un nostro operoso ravvedimento. Dobbiamo molto semplicemente cominciare a parlare di questa storia».

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18 giugno 2008
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