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Il solito coglio...

Nel giorno della Memoria Berlusconi "giustifica" Mussolini, colpevole solo per le leggi razziali...

28 gennaio 2013

Ieri il mondo intero si è fermato per ricordare le vittime dell'Olocausto. Era il 27 gennaio del 1945 quando le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, durante un'offensiva verso Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz) scoprendo il più grande campo di concentramento creato dai nazisti. I sovietici vi entrarono e liberarono i prigionieri. Dal 2005, il 27 gennaio, in tutto il mondo come "Il Giorno della Memoria"...
Ieri, Silvio Berlusconi è intervenuto, a sorpresa, all'inaugurazione del Memoriale della Shoah al binario 21 della Stazione centrale di Milano. Una presenza "dovuta" per celebrare una vicenda "che non si può ripetere. Solamente nei panni dei deportati si può capire quali vertici di tragedia e disperazione si raggiunsero". Per l'ex premier "è difficile mettersi nei panni di chi decise allora. Certamente il governo di allora per timore che la potenza tedesca vincesse preferì essere alleato alla Germania di Hitler piuttorso che opporvisi". Inoltre secondo Berlusconi le leggi razziali "sono la peggior colpa del leader Mussolini che per tanti altri versi aveva fatto bene. Non abbiamo la stessa responsabilità della Germania, ci fu da parte nostra - ha detto ancora - una connivenza che all'inizio non fu completamente consapevole".

La frase infelice, ovviamente, ha scatenato una selva di polemiche. Uscito dal Memoriale in Stazione centrale, Berlusconi è stato subito contestato: 'Buffone' e 'Vergogna' sono le parole che, insieme ai fischi, sono state indirizzate contro di lui e che, in modo più attenuato, si sono ripetuti per il segretario della Lega Roberto Maroni.
Le parole del Cavaliere hanno infiammato così la scena politica con reazioni che si sono rincorse per tutta la giornata. "Sono una vergogna e un insulto alla storia e alla memoria. Chieda oggi stesso scusa agli italiani", ha scritto su twitter Dario Franceschini (Pd). Parole "inaudite" anche per Anna Finocchiaro (Pd). Secondo Pier Ferdinando Casini (Udc), Berlusconi ha detto "una sciocchezza immane". Gli fa eco Rocco Buttiglione (Udc) secondo il quale "Se questo è il modello di moderazione di Berlusconi, poveri moderati!". "Berlusconi non conosce vergogna e ha perso un'occasione per tacere. Affermare, proprio nel Giorno della Memoria, che Mussolini 'per tanti versi aveva fatto bene' e che le leggi razziali sono state la sua colpa peggiore costituisce un insulto alla memoria e alle vittime dell'Olocausto", ha reagito Antonio Di Pietro (Idv). Un commento anche da parte di Antonio Ingroia (Rivoluzione civile): "Nel giorno della memoria Berlusconi si rifà al suo modello politico, si vergogni. Più di una volta infatti ci ha ricordato, con il suo fare dispotico, le assurdità del Ventennio".

Indignata la reazione delle comunità ebraiche. "Le dichiarazioni rilasciate di Silvio Berlusconi appaiono non solo superficiali e inopportune - ha detto Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane - , ma, là dove lasciano intendere che l'Italia abbia deciso di perseguitare e sterminare i propri ebrei per compiacere un alleato potente, anche destituite di senso morale e di fondamento storico".
Parlando alla fine della cerimonia milanese, Gattegna ha ricordato che "le persecuzioni e le leggi razziste antiebraiche italiane hanno avuto origine ben prima della guerra e furono attuate in tutta autonomia sotto la piena responsabilità dal regime fascista, in seguito alleato e complice volenteroso e consapevole della Germania nazista fino a condurre l'Italia alla catastrofe". "Furono - ha sottolineato Gattegna - azioni coerenti nel quadro di un progetto complessivo di oppressione e distruzione di ogni libertà e di ogni dignità umana". "Le sconcertanti dichiarazioni - ha concluso Gattegna - secondo le quali, nel corso della Shoah, da parte italiana 'ci fu una connivenza non completamente consapevole' e le 'responsabilità assolutamente diverse' rispetto a quelle tedesche, sono da respingere e dimostrano quanto ancora l'Italia fatichi, al di là delle manifestazioni retoriche, a fare seriamente i conti con la propria storia e con le proprie responsabilità".

Le leggi razziali del Duce - Le leggi razziali furono varate nel novembre del 1938, 75 anni fa, con un regio-decreto (XVI, n.1390) a firma di Vittorio Emanuele III "per grazia di Dio e per volontà della nazione re d'Italia e imperatore d'Etiopia" e, in pratica, escludevano dal contesto politico, sociale e amministrativo gli ebrei italiani. Erano state precedute nel 1936 dal Manifesto degli scienziati razzisti, pubblicato sul Giornale d'Italia il 14 luglio di quell'anno e sottoscritto da 108 "scienziati" e, secondo i diari di Bottai e di Ciano, redatto quasi esclusivamente da Mussolini. Prima del varo delle leggi, nell'ottobre del 1938, ci fu una "Dichiarazione sulla razza" e in seguito uno stillicidio di disposizioni, atti amministrativi, prefettizi, tutti volti a restringere sempre più le maglie della "discriminazione", ovvero la possibilità per alcune categorie di cittadini ebrei di veder mitigate le disposizioni.

Il capo I riguardava i MATRIMONI e stabiliva subito all'art.1 la proibizione del matrimonio tra il cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza. Se celebrato in contrasto con la legge, era da ritenersi nullo. Oltre a restringere, per gli impiegati dello stato e delle forze armate, la possibilità di sposarsi con persone di nazionalità straniera, la legge imponeva all'ufficiale di stato civile di accertare, indipendentemente dalle dichiarazioni delle parti, la razza e lo stato di cittadinanza di entrambi i richiedenti.
Il capo II definiva gli APPARTENENTI ALLA RAZZA EBRAICA, che per legge erano: a) i nati da genitori entrambi ebrei, anche se di altra religione; b) i nati da genitore di razza ebraica e da genitore di nazionalità straniera; c) i nati da madre ebrea e padre ignoto; d) i nati da un solo genitore di razza ebraica, ma appartenente alla religione ebraica o iscritto alla comunità israelitica o che avesse fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazione di ebraismo.
Non era considerato invece di razza ebraica chi pur essendo nato anche da un solo genitore di razza ebraica apparteneva, al 1 ottobre 1938, a religione diversa. L'ebreo doveva denunziarsi come tale ed era iscritto nei registri dello stato civile e della popolazione, che furono aggiornati con note rosse accanto alle persone dichiarate ebree.
I DIVIETI. I cittadini che, in base a tale legge, erano dichiarati ebrei non potevano: a) prestare servizio militare in pace e in guerra; b) essere tutori o curatori di minori o di incapaci non di razza ebraica; c) essere proprietari, o gestori a qualsiasi titolo, di aziende o esserne direttori, sindaci o amministratori; d) essere proprietari di fabbricati o di  terreni; e) il genitore ebreo poteva essere privato della patria potestà dei figli di altra religione e non poteva avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana; f) gli ebrei non potevano essere dipendenti dello Stato, del Partito fascista, di Province, Comuni, Istituzioni pubbliche, di aziende municipalizzate, di aziende parastatali, associazioni sindacali, di banche, assicurazioni, ecc.
La legge introduceva poi il concetto di "discriminazione", ossia stabiliva l'esenzione o l'attenuazione dalle disposizioni per alcune categorie di ebrei: tra questi, i componenti delle famiglie di caduti nelle guerre libiche, mondiale, etiopica e spagnola o per cause fasciste; i decorati con croce di guerra; i mutilati, invalidi e feriti per causa fascista, gli iscritti al partito pre marcia o subito dopo, i legionari fiumani. Agli ebrei stranieri era impedito di stabilirsi in Italia, in Libia e nei possedimenti dell'Egeo; si revocavano le cittadinanze italiane concesse a stranieri dopo il primo gennaio 1919.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Repubblica.it]

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28 gennaio 2013
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